Il Corriere vinicolo, organo ufficiale dell’Unione italiana vini , una potenza nel settore della produzione e del confezionamento di quella che molti considerano ancora la bevanda nazionale nonostante la crisi dei consumi, non ha gradito le affermazioni di Piero Antinori , presidente dell’Istituto grandi marchi circa la strategia da adottare per far fronte alla complessa situazione.

Quello della crisi dei consumi interni di vino è un falso problema - sostiene Antinori - preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Il vino di qualità è il prodotto più globale in assoluto, non vedo perché ci si debba focalizzare su una nicchia di 60 milioni di abitanti quando fuori c’è un mercato di 6 miliardi di persone da conquistare. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare”.

Il Corriere vinicolo ribatte che quei numeri sono illusori e che se si tolgono musulmani, poveri africani e bambini non resta gran che da scoprire per il vino italiano all’estero. Un ragionamento mirato a riprendere in esame la possibilità di insistere sui consumi interni in declino da decenni. Ma Antinori insiste: “Anche in Francia i consumi interni sono calati, ma questo non ha distolto dalla conquista di nuovi mercati di sbocco secondo una strategia comune e ben organizzata. Ed è quello in Italia non si riesce a fare, perché manca una cabina di regia in grado di governare un settore fortemente parcellizzato. Per questo allarmarsi per un calo fisiologico dei consumi interni è come guardare la pagliuzza per non vedere la trave”.

Per Antinori, che con le 17 aziende dei Grandi Marchi (Biondi Santi, Michele Chiarlo, Ambrogio e Giovanni Folonari, Pio Cesare, Tenuta San Guido, Ca' del Bosco, Umani Ronchi, Carpene' Malvolti, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Alois Lagender, Rivera, Jermann, Donnafugata, Marchesi Antinori, Tasca D'Almerita) rappresenta un fatturato di 500 milioni di euro l’anno (il 60% destinato all’export), il vino è quindi un prodotto sempre più globale e per il made in Italy enologico questa è un’occasione da non perdere. “Negli ultimi 10 anni – prosegue - gli Stati Uniti hanno visto raddoppiare i consumi interni, per non parlare dei Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), dove 3 miliardi di persone e centinaia di milioni di nuovi ricchi si ‘occidentalizzano’ attraverso i nostri status symbol, vino di qualità in primis. In Cina, che è già un mercato potenziale da un miliardo di bottiglie l’anno, ogni 100 litri di vino provenienti dall'estero solo cinque portano l'etichetta italiana. E ancora, a Hong Kong, hub principale per la distribuzione del vino in Asia, il vino italiano si colloca in settima posizione, con una quota di penetrazione del 2,3%, contro il 33% della Gran Bretagna, che distribuisce per lo più vino francese, o il 31% della Francia. Sono questi – ha aggiunto il presidente Antinori - i veri problemi del nostro vino, non tanto quelli legati ai consumi interni”.

E continua a proposito dei consumatori italiani: “Sono senz’altro tra i più maturi e consapevoli al mondo: qui, negli anni, il vino si è trasformato da alimento a piacere, da abitudine a scelta culturale. Certo non giovano le campagne sempre più aggressive contro il consumo di alcolici. Campagne dove il vino è sul banco degli imputati e dove si rischia di fare di un’erba un fascio”.