Il biologico in Italia è ancora una nicchia. Da una parte c’è una produzione di qualità che spesso tocca vette d’eccellenza, la domanda di un consumatore che non ne può più di scandali alimentari e vuole mangiare sano e sostenibile, un interesse crescente da parte della distribuzione ma dall’altra c’è un livello medio di prezzi che mal si concilia con le attuali capacità d’acquisto della maggioranza degli italiani, un mondo produttivo frammentato in pmi che non sanno fare sistema, e ancora tante, troppe inefficienze di filiera. Il mercato non è mai decollato alla grande ma è cresciuto lentamente a partire dai primi anni del 2000. E oggi tiene, nonostante la crisi e la riduzione dei consumi. Crescono in particolar modo le private label, anche a doppia cifra, mentre si sperimentano nuovi concept e si lanciano nuovi prodotti ad alto contenuto di servizio. Ci sono i margini di un ulteriore miglioramento della categoria. E i miglioramenti passano soprattutto da un miglior collegamento fra produzione e distribuzione e da una comunicazione che renda chiari a tutti i valori aggiunti di un prodotto biologico certificato. L’ultimo scandalo del falso biologico non ha di certo aiutato il settore ma la fiducia non manca. Dove sta andando il biologico italiano? Lo abbiamo chiesto ad alcuni importanti player della produzione e della distribuzione.


Francesca Tozzi

Un mercato che tiene

La quota di consumatori italiani potenzialmente interessati ai prodotti salutistici è del 40%, il 25% dei quali dichiara di comprare più o meno regolarmente prodotti biologici. Ciononostante la quota di mercato dei prodotti biologici rimane in Italia sotto il 3% della spesa alimentare. Praticamente una nicchia. «La stagnazione economica degli ultimi anni ha ridimensionato le prospettive di crescita dei consumi in Italia e anche il comparto del bio ne risente – conferma Cristina Gregori responsabile marketing di Natura Nuova – la crisi economica, l'inflazione reale e quella percepita, il carovita sono elementi problematici che, inevitabilmente, si riflettono sulle abitudini d'acquisto. Molti consumatori hanno diminuito la spesa del bio, ma se confrontiamo l'andamento dei prodotti biologici con quello di altri prodotti di nicchia, le cifre sono comunque rassicuranti. Ciò è dovuto al fatto che esso appare associato a uno stile di vita improntato al salutismo al quale la maggior parte dei consumatori non rinuncia nonostante il senso di sfiducia e il deterioramento del potere d'acquisto. Il settore del biologico registra per questo una continua crescita». Chi ha davvero il polso del mercato, più che i produttori, spesso piccole realtà che non coprono tutto il territorio nazionale, è la distribuzione, a partire dal canale specializzato. «Il mercato del bio ha avuto una buona tenuta fino all’anno scorso anche se ha subito un rallentamento nella seconda parte dell’anno con il peggioramento della situazione dovuto molto, secondo me, al calo della fiducia e quindi dei consumi – sottolinea Edoardo Freddi, responsabile marketing e comunicazione del gruppo EcorNaturaSì – Noi abbiamo chiuso l’anno con una crescita coerente con gli anni precedenti, più o meno intorno al 10% con piccole differenze a seconda dell’insegna. Anche la gdo è cresciuta nel settore del biologico perché partiva da una gamma più ridotta quindi l’inserimento di nuovi prodotti ha incrementato le vendite. Il 2012 conferma per ora il trend degli ultimi mesi del 2011 con consumi abbastanza contenuti». «Per quanto riguarda il nostro marchio privato – aggiunge Vladimiro Adelmi, responsabile della linea biologica Coop “Vivi verde” – il 2011 è stato un ottimo anno con una crescita vicino al 20% per la linea Vivi verde, per quanto anche gli altri marchi del bio abbiano contribuito a trainare il settore. In generale la crescita è a due cifre, superiore all’andamento medio registrato a livello di distribuzione moderna. Adesso la scommessa è il 2012 che sarà un anno difficile perché risente da una parte dello scenario economico e dall’altra della diversificazione delle strategie. Nel 2011, intanto, il verde ha goduto di un’attenzione particolare e i buoni risultati li abbiamo visti».

Quando il layout fa la differenza

In un recente studio realizzato dall’Università Politecnica delle Marche in collaborazione con Live e commissionato da Almaverde Bio, il category management emerge come elemento chiave. Ma un progetto integrato nel mondo del biologico ha molte più variabili di complessità rispetto a un normale progetto di category, variabili dovute essenzialmente alla compresenza di diverse categorie merceologiche. Nello stesso tempo offre notevoli opportunità di differenziazione all’insegna che lo sperimenta. Questo accade già all’estero dove sta crescendo l’attenzione per i prodotti biologici da parte di tutti i maggiori gruppi della gdo. In particolare, Auchan e Carrefour hanno sviluppato nuovi format in cui viene dato molto spazio al bio con attenzione al layout. La seconda insegna sta sperimentando anche in Italia un nuovo concept dove ogni categoria merceologica ha il proprio mondo: il Carrefour Planet. Il mondo bio è rappresentato da un’isola che raccoglie tutta l’offerta come in una grande superficie specializzata. Dai test effettuati in Belgio e Spagna è emerso che con questa nuova offerta segmentata di 3.000 referenze le vendite sono triplicate. I prodotti della linea Vivi verde, come tutti i prodotti a marchio Coop – insegna che è state fra le prime a credere nel biologico e a dotarsi di una linea bio a marchio privato – sono presenti ed evidenziati nei vari settori merceologici. «In questo modo – spiega Vladimiro Adelmi – per quasi ogni prodotto è possibile scegliere tra primo prezzo, prodotto a marchio dell’azienda produttrice, private label con ottimo rapporto qualità prezzo rispetto al brand di riferimento e prima scelta. Sono in atto delle sperimentazioni con doppie esposizioni ma sono comunque delle esperienze pilota da verificare. Normalmente i posizionamenti vivono nel layout del settore di riferimento, fanno parte del visual di quella categoria, posizionandosi nel caso del bio nella fascia premium. Poi è chiaro che ogni scelta di layout ha i suoi vantaggi e svantaggi. Quella che vede i prodotti della stessa linea raggruppati in un’unica area del punto vendita ha senz’altro il vantaggio di dare al cliente l’idea dell’offerta nella sua completezza invogliandolo a provare prodotti che magari non avrebbe cercato o che non conosceva».

Collegare produzione e distribuzione

Il mercato del biologico in Italia è caratterizzato da un certa fragilità delle aziende produttive e dalla forza crescente delle aziende distributive. Questa fragilità dipende dalla frammentarietà del mercato stesso: tante piccole aziende legate al territorio con un’offerta di prodotti di qualità ma che faticano ad affacciarsi in modo autonomo sul mercato e spesso lo fanno in modo inefficiente dal punto di vista del’organizzazione, della logistica e della gestione dei costi. Il Progetto Ecoplanet, che prende il nome dall’azienda che l’ha ideato e che partirà a pieno ritmo da quest’anno, nasce proprio per ottimizzare la filiera tagliando i passaggi inutili e aumentando l’efficienza del sistema. «C’è bisogno di collegare in presa diretta produzione e dettaglio – sottolinea Tommaso Stradaioli, direttore vendite di Ecoplanet – Una realtà come la nostra non si presenta come un nuovo anello della filiera ma come un volano per le imprese di produzione e trasformazione. Anche in grande distribuzione, dove ci prepariamo ad entrare, le possibilità sono tante: qui le nostre linee di prodotto saranno diverse rispetto a quelle che offriamo al canale specializzato. Ad accomunare i due canali c’è però una necessità del consumatore, quella di essere rassicurato su origine e tracciabilità dei cibi che acquista dopo tanti, troppi scandali alimentari. Il biologico rappresenta una risposta. E rappresenta il futuro». Tra i player più organizzati e conosciuti c’è Almaverde Bio, realtà consortile che associa 13 imprese con una forte specializzazione nel proprio settore e che ha deciso di adottare una strategia complessa sulla marca per proporsi come gestore della categoria del biologico ai partner della gdo. «La prima questione – spiega il presidente Renzo Piraccini – è che il consumatore non trova tutto il prodotto in un’area e deve girare tutto il punto vendita per comprare la pasta, l’ortofrutta o i biscotti biologici. Le insegne che hanno identificato l’offerta biologica in un’area del negozio performano bene: è il caso del Carrefour Planet. Il secondo punto importante è potenziare il ruolo della marca per rendere l’offerta credibile e riconoscibile. L’autorevolezza del nome è fondamentale quando si è da soli di fronte a uno scaffale bio, con tutti i dubbi che ancora sussistono su questo tipo di produzione. Dalla ricerca da noi commissionata emerge che Almaverde Bio è la marca più conosciuta non solo fra i consumatori di biologico ma anche tra i consumatori del convenzionale».

Innovazione in confezione

«Alla marca si lega l’innovazione che deve essere continua e che noi stiamo declinando molto in chiave di prodotto pronto al consumo, quarta e quinta gamma, con l’obiettivo di posizionarci subito sotto il leader di segmento – prosegue Renzo Piraccini – Un terzo aspetto importante è legato al packaging e al fatto che il prodotto bio spesso non si vende perché il prezzo è più alto. Noi abbiamo ottenuto ottimi risultati con un piano di categoria dove invece di dare al consumatore 1 kg di prodotto, per esempio di limoni in retina da agricoltura convenzionale, gliene diamo 750 grammi da agricoltura biologica allo stesso prezzo. Che è diverso dal pagare il 25% in più. I prodotti vengono offerti in quantità minore rispondendo alla diffusa esigenza di mangiare meno e meglio, e senza sovrapprezzo». Innovazione significa sempre di più andare incontro a un consumatore che non ha tempo «Nel comparto del bio l'alimentare è il settore sicuramente più sviluppato e qui si concentrano gli sforzi per ricercare un'innovazione continua – sottolinea Cristina Gregori responsabile marketing di Natura Nuova – L'obiettivo è quello di creare nuove situazioni di consumo del prodotto biologico per garantire un'alimentazione sana nonostante l'attuale stile di vita, sempre più frenetico. Ed è proprio in questo contesto che maggiormente si ricerca l'innovazione, che si declina sempre più come offerta di servizio al consumatore, dandogli la possibilità di mangiare un prodotto sano in ogni momento della giornata. Per questo gli sforzi aziendali si stanno concentrando nel ricercare soluzioni pratiche, comode e addirittura tascabili per poter offrire al consumatore del biologico un prodotto sano da gustare in ogni momento e in ogni situazione». Alcune categorie di prodotto, come per esempio i sostitutivi della carne, hanno una vocazione al biologico così come i vegetariani. In questo caso l’innovazione può coincidere anche con la scelta di produrre biologico in un settore come quello dei salumi. Il Salumificio Pedrazzoli, leader italiano per i salumi bio, nel 1995 ha fatto questa scelta, individuando nel biologico un’opportunità: «Abbiamo capito che era un modo per poterci differenziare dai competitor e per poter garantire e certificare soprattutto certi valori aggiunti che volevamo dare al prodotto in chiave di attenzione alla salute e all’ambiente – spiega la responsabile marketing Elisa Pedrazzoli – La scelta del ciclo produttivo chiuso biologico è stata fatta perché, in un mercato dove manca la materia prima, ritenevamo fondamentale avere il prodotto garantito con una certa continuità e qualità. Non è un mercato grande il nostro, però vediamo che il consumatore bio comincia ad apprezzare anche i prodotti a base di carne. Adesso stiamo lavorando per produrre i nostri cotti completamente senza conservanti. I consumatori italiani non pongono una grande attenzione agli ingredienti e quindi alla presenza di nitriti e nitrati nei salumi biologici anche perché a volte danno per scontato che i prodotti biologici non li abbiano. L’assenza reale di conservanti sarà un forte elemento di forza, anche se magari non nell’immediato».

La forza delle bio private label

Il boom del biologico in Italia è stato favorito dall’entrata in campo di due colossi come Esselunga e Coop, seguiti da altre insegne, che si sono dotati di una propria linea a marchio. «Già dal 2005 però il mercato si è sgonfiato e la gdo ha manifestato una certa disaffezione alla categoria per cui è stato via via più difficile fare nuovi inserimenti per i prodotti a marchio dell’insegna – sottolinea Paolo Pedon la cui azienda omonima è un riferimento per quanto riguarda cereali e legumi da agricoltura biologica – La quota di private label nella nostra produzione riflette quella del biologico in gdo dove i prodotti sono per il 70% a marchio commerciale: un’alta incidenza motivata anche dal fatto che legumi e cereali sono percepiti come commodity e quindi vengono soprattutto acquistati sotto il marchio ombrello dell’insegna. Oggi nelle catene con una gestione più evoluta del biologico, l’offerta di cereali e legumi prevede una fascia di qualità intermedia a marchio dell’insegna con una gamma cha va dalle 8 alle 15 referenze mentre l’offerta bio è concentrata sui 5-10 prodotti più importanti, anche a marchio del produttore, con gap di prezzo accettabili rispetto all’equivalente prodotto da agricoltura convenzionale perché si tratta di prodotti poveri. Questo non deve farci però dimenticare che il prezzo rappresenta ancora un fattore critico per il bio, un fattore legato ai costi ancora troppo alti di produzione e trasformazione, a una filiera con troppi intermediari e a troppa burocrazia. Sono però abbastanza fiducioso perché il mercato del bio è in ripresa con un +11% nel primo quadrimestre del 2011 e, nonostante ci sia ancora poco spazio a scaffale, la gdo ha ripreso interesse». Sul tema delle bio private label è interessante il punto di vista di Conad, un’insegna che sta investendo molto nella categoria. La linea “Conad Il Biologico” è cresciuta nel 2011 del 30%, più degli altri prodotti a marca privata. «Abbiamo lanciato molte gamme soprattutto in alcuni comparti come le confetture e il fresco, e vogliamo continuare così – conferma Giovanni Panzeri, marketing manager marca commerciale Conad – La marca privata gioca ormai un ruolo fondamentale nel biologico e sta diventando sempre più competitiva. All’interno del mondo Conad rappresenta ormai una quota del 35%. La forza della marca privata nel biologico è anche la conseguenza del fatto che grandi brand non ce ne sono: se si escludono nomi forti come Alce Nero e Almaverde Bio, si tratta per lo più di marchi minori rispetto a quelli che troviamo nei mercati tradizionali. In un mercato frastagliato in piccoli marchi poco conosciuti, la fiducia che si pone nel marchio privato bio è maggiore come a dire che in un mercato dove non ci sono marchi di riferimento il consumatore fa del proprio distributore di fiducia il proprio marchio di riferimento. Ma la forza competitiva del nostro marchio privato è anche data dal fatto che possiamo offrire una gamma più ampia che coinvolge più mercati rispetto alle singole marche che magari lavorano molto bene in un piccolo segmento ma non possono coprire tutte le esigenze del consumatore del biologico».

Sotto un unico marchio ombrello

La crisi ha fatto crescere i primi prezzi e i prodotti premium. «Spesso in gdo manca un’alternativa bio nei prodotti altorotanti e l’offerta del biologico è rappresentata da super nicchie caratterizzate da prezzi elevati – commenta Paolo Pedon – Questo accade, secondo me, perché le dinamiche di gestione sono spesso il frutto della decisione dei singoli buyer piuttosto che di una strategia dell’insegna. Ne trae vantaggio il canale specializzato che va in profondità in molti segmenti merceologici offrendo completezza di gamma e assistenza all’acquisto». «Come approccio e come posizionamento, i negozi a insegna Cuorebio e NaturaSì sono entrambi molto diversi dalla grande distribuzione – aggiunge Edoardo Freddi, responsabile marketing e comunicazione del gruppo EcorNaturaSì – perché la gdo si è avvicinata al bio più per un’opportunità di immagine e business, per rispondere con prodotti specifici a un target particolare, ma ci è arrivata in una fase molto tarda dello sviluppo di questo mercato. La storia dello specializzato è legata invece a una forte scelta valoriale fatta più di 25 anni fa per sostenere l’agricoltura e salvaguardare il territorio. All’interno di questo comune percorso c’è stata da subito una differenziazione fra Cuorebio e NaturaSì. Il primo ha il suo fulcro in un negoziante che diventa il tramite fra il produttore e il consumatore quindi molto attento al legame con il territorio e alla selezione dei prodotti, alla loro origine; conosce i prodotti nelle loro peculiarità e i modi per utilizzarli al meglio. Cuorebio è un marchio comune dove l’individualità del negoziante fa la differenza e caratterizza ogni negozio. NaturaSì invece è nata con la stessa attenzione nella scelta dei fornitori ma con una struttura più condivisa: tutti i negozi della catena tendono ad avere un assortimento molto più uniforme e sono attenti a proporre la stessa tipologia di promozioni e strategie comunicative. Cuorebio gioca molto la carta del servizio personalizzato, NaturaSì quella di un assortimento completo e profondo che consente al consumatore di costruire uno stile di vita biologico che comprende alimentazione, detergenza e igiene personale». Una strategia quest’ultima che ritroviamo anche in un player non specializzato come Coop: «Le referenze offerte oggi dalla linea Vivi verde nel suo complesso sono oltre 400 ma rispetto all’offerta di altri player la nostra si caratterizza per il fatto di accogliere sia prodotti biologici nel food sia ecologici nel non food – spiega Vladimiro Adelmi, Responsabile della linea biologica Coop “Vivi verde” – sono due anime unite sotto lo stesso marchio ombrello “Vivi verde” la cui finalità è fornire un’offerta improntata alla tutela dell’ambiente che avviene attraverso il cibo ma anche la detergenza e altri gesti della nostra quotidianità. Questa peculiarità di Coop di abbinare sotto uno stesso marchio ombrello prodotti food e non food rappresenta un’innovazione a livello di gdo italiana e non solo. I prodotti alimentari della linea sono biologici e costituiscono circa l’80% del giro d’affari. Vivi verde è il marchio prevalente per il bio ma non è totalizzante. Abbiamo anche altre linee come per esempio la linea Solidal dove i prodotti del commercio equo e solidale sono in parte anche biologici ».

Le criticità non mancano

C’è chi pensa che nel biologico le promozioni dovrebbero essere continue, ben evidenziate in volantino e con tagli prezzo non superiori al 20% per non disorientare il consumatore. Lo pensa il presidente di Almaverde Bio. E lo pensa anche il responsabile marketing e comunicazione del gruppo EcorNaturaSì: «Non attuiamo mai come strategia promozionale tagli prezzi aggressivi come quelli della gdo perché non è possibile andare a comprimere i costi dell’agricoltore se si vuole garantire la qualità della produzione bio al consumatore; il taglio prezzo tende poi a togliere credibilità al prodotto. Quindi lavoriamo meno sul prezzo e di più sulla comunicazione della qualità, affidandoci alla forza persuasiva di alcune marche che hanno dietro realtà produttive piccole ma valide e che riescono a diventare punti di riferimento per certi prodotti nel canale specializzato. La nostra fidelity card consente poi al consumatore fedele di accedere a degli sconti progressivi: il distributore così non taglia il prezzo sul produttore e sul prodotto, ma sceglie di investire parte del suo margine nella relazione con il cliente, premiandolo e fidelizzandolo ulteriormente». La comunicazione è al primo posto anche per far passare i valori aggiunti del prodotto biologico. «Il consumatore deve poter accedere in modo veloce, facile e comprensibile a tutte le informazioni che ritiene necessarie per conoscere la storia del prodotto che acquista – sottolinea Massimo Monti, amministratore delegato di Alce Nero & Mielizia – Dalle etichette “trasparenti” cioè chiare, leggibili e complete a tutte le informazioni che si possono mettere a disposizione sui siti internet aziendali. Non dimentichiamo che, anche se l’Italia è uno dei Paesi con più enti di certificazione e controlli sul prodotto biologico, niente si può sostituire alla credibilità, storia e fiducia nella marca». Alce Nero è un marchio storico nel mondo del biologico con la peculiarità di essere distribuito sia nel canale della grande distribuzione che in quello del dettaglio specializzato. «Questo ci permette di avere il polso delle problematiche di entrambi i canali di vendita – continua Monti – criticità che per quanto riguarda la gdo sono in primo luogo gli spazi limitati, che sono spesso forzatamente dedicati alle private label dell’insegna più per perseguire obiettivi di aumento di quote di mercato che non di redditività dello scaffale. Gli investimenti richiesti per listing e attività promozionali spesso sono eccessivi rispetto ai volumi che si possono sviluppare in mercato dai volumi in crescita ma comunque limitati. Infine le aziende che trattano più prodotti, più categorie, devono relazionarsi con molti buyer diversi, e questo rende difficile poter sviluppare una politica efficace ed efficiente. Per quanto riguarda il dettaglio specializzato, le criticità sono soprattutto di ordine logistico che si traducono in una ancora bassa efficienza delle attività che portano il prodotto dallo stabilimento di lavorazione al punto di vendita con conseguenti riflessi su redditività e prezzo al pubblico».

Lotta dura alla contraffazione

Oltre 200 milioni di euro di fatture per operazioni inesistenti, più di 2.500 tonnellate di merce sequestrata in quanto falsamente biologica, oltre 700.000 tonnellate di prodotti alimentari dichiarati falsamente biologici commercializzate. Sono questi i numeri che la Guardia di Finanza di Verona ha reso noto lo scorso dicembre dopo il maxi sequestro del falso biologico, operazione che è stata denominata “Gatto con gli Stivali”. Un giro di affari che proseguiva da anni garantendo ai truffatori guadagni ingentissimi. Le merci, provenienti anche da paesi esteri dell'Unione Europea, venivano trasformate agli occhi della legge in prodotti biologici attraverso false fatture che contribuivano ad aggirare il sistema di tracciabilità che caratterizza la filiera. «Il successo dell’operazione denominata “Gatto con gli Stivali” che ha portato al sequestro di 2.700 tonnellate di cereali falsamente biologici e all’arresto di sette persone è la prova che il nostro sistema di controllo e certificazione funziona – commenta Fabrizio Piva, amministratore delegato dell'ente di certificazione del biologico CCPB – non va dimenticato che molto del falso bio proviene dall’estero, mentre i Paesi comunitari adottano sistemi di produzione e certificazione equivalenti ai nostri. Noi come altri organismi di certificazione abbiamo in questi ultimi mesi collaborato con gli organi di vigilanza per smascherare queste truffe che, per sete di facile denaro, rischiano di compromettere il lavoro e l'impegno di aziende serie che hanno fatto del biologico un'eccellenza italiana invidiata in tutto il mondo. Quest’ultimo episodio è comunque un segnale forte e un invito a una maggiore responsabilizzazione da parte di tutti gli anelli della filiera, a cominciare dal sistema produttivo. Una filiera efficiente parte da una scelta della materia prima non orientata solo su criteri di prezzo e finisce con la corretta gestione del prodotto da parte della distribuzione. Il secondo player importante è l’autorità pubblica rappresentata dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e dalle Regioni: invece di concentrarsi solo sulle procedure e le virgole dovrebbero fare più controlli sui campi, nelle industrie di trasformazione e nei punti vendita, meno forma e più sostanza. Questo ultimo scandalo si poteva prevenire. Infine anche gli ispettori degli organismi di certificazione dovrebbero lavorare in modo più coordinato e non dovrebbero essere pagati a cottimo ma a giornata: questo li incoraggerebbe a fare controlli più lunghi e accurati». Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio, ha ricordato ancora una volta la necessità di un miglioramento dei sistemi di scambio di informazioni e di banche dati perché tutte le informazioni utili a garantire la trasparenza del mercato siano disponibili in tempo reale a tutti i soggetti interessati.