Uno spunto reso ancor più stimolante dalle dichiarazioni del direttore della Fipe Edi Sommariva. Il quale, commentando i risultati della ricerca realizzata dal Centro Studi Fipe-Confcommercio (dal titolo: Dal carrello della spesa al ristorante), ha rimarcato che «si deve distinguere tra la ristorazione di necessità e quella di evasione. La prima, banale e impersonale, è terreno di caccia della grande distribuzione. Nella seconda, invece, si fa ricerca, innovazione, anche reinventando piatti della tradizione».
In queste parole c’è sicuramente del vero. Ma farebbero bene, industria e distribuzione del canale mass market, a prenderle quasi come un “guanto di sfida”. Il punto, infatti, è: può rappresentare la ristorazione fuori casa un’opportunità di business per il largo consumo? A giudicare da ciò che in altri paesi si è già iniziato a fare da tempo in termini di offerta, con assortimenti più tarati sulle esigenze del consumo fuoricasa e della ristorazione più o meno veloce, sembrerebbe proprio di sì.
Non va dimenticato, del resto, che nel 2009 il valore dei consumi nell'alimentare extradomestico (un comparto che conta 291.000 imprese con 310.000 lavoratori dipendenti e 670.000 indipendenti) è stato stimato da Fipe-Confcommercio in 70 miliardi di euro, pari al 33,5% dei consumi alimentari complessivi. Il volume d'affari ha registrato una lieve perdita, è vero (-1,2%). Ma considerata l’annata terribile per l’economia non è neanche un pessimo risultato. Le stime per il 2010, inoltre, prevedono una inversione di tendenza (+1%).
Ma veniamo ai risultati della ricerca Fipe. Il "pranzo", spiega l’indagine, continua a essere per gli italiani il pasto principale della giornata. Lo afferma tre quarti del campione intervistato (73,5%) ed è particolarmente vero per le donne (77,5%) e per gli ultra 55enni. Una percentuale marcatamente sopra la media per la "cena" è stata invece registrata tra i 25-34enni (41% contro il 26,5% medio) e tra i residenti al Centro Italia (30,5%). Più di otto italiani su dieci (83,5%) inoltre "variano le proprie scelte alimentari" in funzione del pranzo o della cena (con pasti più o meno “pesanti”).
Per il pranzo a casa, in particolare, si predilige "una" (44%) o "due" (46%) portate, che generalmente sono "primo" o "piatto unico" e "primo e secondo", mentre a cena domina "una sola portata" (61,5%), che di solito è un "secondo" o un "piatto unico". Il pasto tra le mura domestiche, insomma, è fortemente destrutturato. Ma quali sono gli alimenti maggiormente consumati a casa propria? I "primi piatti", la "frutta" e la "verdura-insalata", consumati "tutti i giorni o quasi" da circa i due terzi degli intervistati. I "formaggi", come prodotto di pronto consumo, hanno un buon gradimento, mentre il "pesce" è consumato "tutti i giorni o quasi" da un numero modesto di intervistati (13,5%).
I giovanissimi tendono a consumare preferibilmente i primi e – cosa risaputa - scarseggiano a frutta. Più salutiste le altre categorie: i 25-34enni controllano il consumo dei primi piatti, forse per attenzione alla forma fisica, mentre dai 45 anni in su si potenzia il consumo di frutta e verdura. Le donne hanno invece un consumo limitato di salumi e vino. Antipasti e dessert sono fortemente controllati tra gli over 55 anni. La categoria dei 45-54enni risulta essere quella più completa e "godereccia", con consumi superiori alla media anche tra i prodotti e alimenti generalmente "no".
In conclusione, sostiene la ricerca Fipe, gli italiani - pur tra forti cambiamenti - si confermano gourmet. Restano attenti alla "ricerca di ingredienti di qualità" (91,5%), ritengono il cibo un "piacere" (91%) e utile a una buona salute (87,5%). Le donne intervistate hanno dimostrato maggior accordo proprio con il cibo come "piacere", con la voglia di dedicare "tempo alla tavola" (84% contro il 78,5% medio), con il "cibo è salute" e con la "ricerca di nuovi sapori". Non va trascurato, tuttavia, che per un intervistato su due, senza particolari differenze tra i sessi, il cibo è un soltanto un "dovere di sopravvivenza".