Che finisse come è finito c’era da aspettarselo. Chi – e saranno in molti – è andato sabato a fare la spesa nei supermercati non si sarà nemmeno accorto che era in corso lo “sciopero del carrello”, un’agitazione indetta da Filcams-Cigl, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil a sostegno del rinnovo del contratto del terziario.

Le trionfalistiche dichiarazioni dei sindacati appaiono a dir poco imbarazzanti. Si parla di una percentuale di adesioni «altissima», che avrebbe raggiunto «la media del 70-80%, soprattutto nella grande distribuzione, dove in alcuni casi si sono toccate punte del 90% e la chiusura di molti grandi magazzini». Il segretario generale di Fisascat Cisl Pierangelo Raineri non poteva che sottolineare la «piena riuscita dello sciopero generale».

Di tenore ben diverso le cifre comunicate da Confcommercio, che etichetta quelle dei sindacati come «fantasiose e incomprensibili», valutando l’adesione allo sciopero intorno al 7-8& nella gdo e inferiore all'1% nelle altre imprese associate.

«Sapevamo che le iniziative di lotta mal si adattano alle esigenze del terziario -  ha detto il presidente della Commissione Lavoro di Confcommercio Francesco Rivolta - ma il fallimento dello sciopero di oggi è clamoroso. I lavoratori hanno compreso meglio del sindacato che la collaborazione è la strada per migliorare la produttività».

Difficile dargli torto. Le pur legittime richieste dei sindacati per il rinnovo di un contratto collettivo scaduto ormai da un anno e che interessa circa 320mila lavoratori, di fatto si concentrano, ancor prima che su una richiesta di aumento salariale (78 euro al IV livello), sulla flessibilità del lavoro: contratti a termine, turni domenicali, straordinari, orari notturni ecc. Tutti aspetti su cui da sempre il sindacato avanza pretese difficilmente accettabili dalle aziende.  

Si tratta indubbiamente di temi complessi, su cui la stessa Coop ha dato la propria disponibilità a trattare (evitando così di aderire alla agitazione) ma che le sigle sindacali dovrebbero affrontare con un’ottica diversa, rendendosi conto che il mercato del lavoro, negli ultimi trent’anni, è un po’ cambiato.

Sia pure ammettendo qualche responsabilità di Confcommercio in questa disputa contrattuale, dunque, non si può non essere d’accordo con Rivolta quando afferma che «i lavoratori del settore comprendono benissimo che al centro del contratto, accanto agli adeguamenti degli stipendi, ci sono l’esigenza dei clienti in termini di qualità e quantità del servizio e l’impegno e il merito di chi lavora».