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Scioperi e proteste mettono a rischio il carrello di Natale

Scioperi e proteste mettono a rischio il carrello di Natale
Scioperi e proteste mettono a rischio il carrello di Natale

Scioperi e proteste mettono a rischio il carrello di Natale

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Redazione

Aperto per Natale o chiuso per Natale? Questo è il problema, un problema tanto più grave in quanto lo shopping degli italiani non fa certo faville.

/strong> Secondo i dati Istat non solo a novembre si osserva un calo della fiducia della popolazione e delle imprese, ma a ottobre 2017 le vendite al dettaglio sono diminuite, rispetto al mese precedente, dell'1% in valore e dell'1,1% in volume. Dopo l'accelerazione registrata su base annua a settembre 2017 (+3,1%), sempre a ottobre il carrello ha perso il 2,1% in valore e il 2,9% in volume sul corrispondente. Nello stesso periodo si è registrata una variazione negativa sia per i generi alimentari (-1,7% in valore e -3,8% in volume), sia nel non food (-2,4% in valore e volume).

Per giunta le prossime festività non promettono certo una riscossa, con il loro condensato di problemi. La prima difficoltà è lo sciopero indetto dai sindacati del commercio per venerdì 22 dicembre, con lo scopo, per carità leggittimo, di protestare contro un vuoto contrattuale che si protrae da ben 4 anni. L’agitazione riguarda sia la distribuzione cooperativa, sia gli aderenti a Federdistribuzione. La fermata, riporta una nota di Filcams Cgil, sarà organizzata a livello territoriale: 4 ore il 22 dicembre e ulteriori 4 ore da programmare localmente, anche per effettuare scioperi improvvisi entro il 6 gennaio 2018.

Un’azione molto pesante, come sottolineato dagli stessi organizzatori: «Riteniamo che soltanto con un atto forte di lotta e mobilitazione prima della Feste si possa imprimere una svolta alla vertenza».

Altra questione drammatica è quella delle aperture straordinarie. Molti centri commerciali e alcune catene hanno intenzione di tenere alzate le saracinesche nei giorni di Natale e Santo Stefano, un orientamento che risuscita la perenne ostilità verso la liberalizzazione Monti e dunque anche nei confronti delle normali domeniche. L’orario non stop sarebbe, secondo le organizzazioni sindacali, lesivo della dignità della persona e del lavoro.

Sul tema è intervenuto, fra gli altri, Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione: “Il concetto espresso dai sindacati è importante e richiede serie riflessioni. Ci permettiamo però di fare qualche considerazione, basata anche sui numeri. In Italia, la domenica, lavorano 4,7 milioni di persone. Oltre a chi opera nei servizi essenziali (ospedali, trasporti ecc.) ci sono anche 690.000 addetti in alberghi, bar e ristoranti (quasi il 70% del totale dell’occupazione del settore), 330.000 nell’industria e via dicendo. Eppure nessuno protesta o si indigna per questi lavoratori. Perché questo faro puntato solo sul commercio? Che differenza c’è tra una donna che serve ai tavoli di un ristorante e una commessa di un supermercato? In entrambi i casi non si parla di servizi essenziali, ma di attività che rendono più piacevole la domenica e consentono una migliore gestione del tempo libero”.

Secondo Cobolli Gigli chi chiede la chiusura dei negozi la domenica deve avere il coraggio di farlo anche per pizzerie, ristoranti, bar, cinema e “deve chiederlo anche per i negozi nei comuni turistici e nelle città d’arte, dove turisti stranieri e italiani girerebbero così per centri città spettrali con tutte le saracinesche abbassate. Ma è questa l’Italia che vogliamo? Noi no. Vogliamo – conclude Cobolli Gigli - un commercio coerente con le nuove abitudini d’acquisto e consumo delle famiglie, che danno sempre più spazio all’e-commerce, una vetrina aperta 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, che non crea occupazione ma che è capace di drenare velocemente vendite ai negozi fisici, ponendoli in grande difficoltà se impossibilitati a reagire. E vogliamo un commercio in grado di contribuire allo sviluppo del Paese, facendo del binomio commercio-turismo un vero elemento di successo”.

Sulla stessa lunghezza d’onda è Mario Resca, presidente di Confimprese, che, intervistato dal ‘Corriere della Sera’ ha fatto notare che, senza lavoro festivo, si dovrebbero tagliare il 40% degli occupati in quanto, proprio nei giorni di venerdì, sabato e domenica si realizza il 50% degli incassi, grazie al maggiore tempo libero dei consumatori.

Intanto cominciano a riprendere corpo le ipotesi di serrata. Uiltucs Sicilia, per esempio, ha invocato, contro le aperture festive forzate, il ritorno a una regolamentazione di carattere regionale, che assicuri a tutti il godimento delle festività.

Lo stesso in Veneto, dove la Regione, che ha da tempo avocato a sé, senza grandi risultati, la disciplina di aperture e chiusure, torna alla carica per appropriarsi della competenza.

Il presidente di Confesercenti Veneto Centrale, Nicola Rossi, fa notare che “la totale mancanza di regole fa sì che valga ‘la legge della giungla’, la legge del più forte. Gli esercizi di vicinato non possono infatti tenere aperto dal lunedì alla domenica ininterrottamente, e questo ha generato un trasferimento di volumi d’affari dai negozi di vicinato alla grande distribuzione. Lo studio dei Bocconiani, decantato dall’allora primo ministro Monti, secondo il quale con le aperture domenicali sarebbero cresciuti consumi e occupazione, è stato un fallimento totale, che i dati Istat hanno confermato in questi ultimi cinque anni».

Per la Gdo, insomma, è un tranquillo Natale di paura e tutto questo mentre altri Paesi europei che di domeniche aperte non ne hanno mai voluto sapere, come la Francia, marciano, seppure con moderazione, verso la deregulation degli orari.

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