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Ibc: la vera soluzione non è all'estero

Ibc: la vera soluzione non è all'estero
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Ibc: la vera soluzione non è all'estero

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Redazione
E’ un messaggio di forte inquietudine quello emerso dall’assemblea 2014 di Ibc. /strong> I produttori di beni di consumo vedono soprattutto una grande discontinuità Italia/estero, dovuta al permanere della depressione dei consumi interni. Infatti se in questi anni l’export ha dato un aiuto sostanziale, la presenza sui mercati internazionali da sola non basta, ha osservato Fedele de Novellis, economista senior e partner di Ref.ricerche.

Va detto che l’industria dei beni di consumo ha saputo reagire, attraverso un’ampia trasformazione strutturale, allo shock della globalizzazione. Sforzi importanti in termini di innovazione di prodotto, miglioramento qualitativo e riposizionamento sui mercati internazionali, hanno permesso di cogliere opportunità sui mercati globali e puntare alla crescita delle esportazioni. Una strategia che ha consentito di attenuare le conseguenze della caduta della domanda interna, seguita alla persistente recessione degli ultimi anni. Attenuare appunto, non sanare, perché quello che è mancato davvero è, e purtroppo rimane, il sostegno del nostro mercato domestico.

“Occorre riattivare – ha affermato de Novellis - la crescita dell’economia, anche con misure a sostegno della domanda interna e con una nuova attenzione ai bilanci familiari. L’intervento sugli 80 euro in busta paga per i redditi medio-bassi appare come un passo apprezzabile, ma non sufficiente. Bisogna infatti liberalizzare i settori protetti per ridurre il peso dei consumi obbligati, diminuire la pressione fiscale e in parallelo tagliare la spesa pubblica improduttiva, rimuovere gli ostacoli all’attività delle aziende legati al sovraccarico burocratico e ai tempi lunghi della giustizia amministrativa”.

A patto di misure che in qualche modo diano nuove possibilità agli imprenditori, le strategie per il prossimo futuro, sempre secondo de Novellis – vedranno ancora la centralità della nozione di competitività. In particolare cruciale è l’intensità di knowledge del processo produttivo. A questo proposito, l’Italia deve recuperare un ampio gap in termini di attività di ricerca. “Soprattutto sulle gamme più elevate stanno cambiando le convenienze relative e il reshoring (riportare la produzione in Italia, ndr.) potrebbe essere uno dei nodi centrali”.

Ma davvero il consumatore resta tanto sconfortato? Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, ha delineato lo stato d’animo dei nostri connazionali. “L’economia italiana è attraversata da un lungo periodo di arretramento. I redditi delle famiglie hanno risentito della crisi e delle manovre di finanza pubblica. I numerosi interventi varati a partire dal 2010, al fine di garantire il controllo dei saldi di bilancio, hanno penalizzato i redditi familiari – ha detto Pagnoncelli -. Sul piano del sentiment complessivo, prevale un vissuto ‘depressivo’ e sono trasversali le sensazioni di sfiducia e angoscia, che si tingono di rabbia, soprattutto nei giovani”.

La percezione prevalente è contradditoria, discontinua appunto, divisa tra un ideale di consumo di qualità ed eticamente corretto e la necessità di contenere i costi; un equilibrio tra la difesa del lavoro sicuro e il bisogno/dovere di accettare qualsiasi forma contrattuale.

“In un contesto così difficile, l’industria manifatturiera e in particolare quella dei beni di consumo sono percepite come molto importanti nell’economia italiana, tuttavia con alcune criticità: un’immagine sfuocata e talora, anche qui, contraddittoria; i settori ove si riconosce la capacità di esprimere leadesrship globali, dall’alimentare al tessile-moda, sono avvertiti come arretrati, poco value-intensive. Nel contempo, nei settori vissuti come trainanti, ad alto valore aggiunto e innovativi - information technology, ricerca ecc. - la nostra competitività percepita è bassa, così come il know-how specifico”.

Un quadro complesso, un esercizio più che difficile. Il sistema dei beni di consumo è oggi chiamato, infatti, a puntare di nuovo, e questa volta sul nostro stesso mercato, su leve cruciali per lo sviluppo, come qualità e innovazione, eccellenza produttiva e delle materie prime, sostenibilità e responsabilità sociale. Ma questa scommessa implica di rinnovare gli sforzi. A questo punto solo un quadro chiaro di politica industriale può accompagnare, sostenere e valorizzare l’impegno e gli investimenti delle imprese. E’ questo che si chiede al nostro Governo, ben oltre gli aumenti in busta paga, siano essi piccoli o grandi. Gli aumenti, se ci saranno, dovranno infatti scaturire dal ritrovato benessere delle aziende e dal rilancio dell’occupazione.
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