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Bernardo Caprotti: vita e opere di un protagonista della Gdo italiana

Bernardo Caprotti: vita e opere di un protagonista della Gdo italiana
Bernardo Caprotti: vita e opere di un protagonista della Gdo italiana

Bernardo Caprotti: vita e opere di un protagonista della Gdo italiana

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Redazione

Si è spento oggi, 30 settembre, Bernardo Caprotti: il fondatore di Esselunga avrebbe compiuto 91 anni il 7 ottobre.

A darne l'annuncio la moglie, Giuliana Albera. Il patron di Esselunga era ricoverto presso la clinica Capitanio di Milano. I funerali avverrano il forma strettamente privata e, per espressa volontà del defunto, non ci saranno necrologi. Negli ultimi anni Caprotti, nonostante la sua incredibile forza e il suo intatto dinamismo, era stato operato varie volte per un male incurabile all'apparato digerente.

Fin qui la triste cronaca. Ma la vita dell’imprenditore, nato nel 1925, si interseca ovviamente con la storia della nostra grande distribuzione, della quale fu uno dei protagonisti indiscussi.

Nel 1951 Caprotti parte per gli Usa per vedere da vicino il mondo del tessile, in cui opera l’impresa di famiglia. Nel 1957, insieme a Marco Brunelli e alla famiglia Crespi, affianca Nelson Rockefeller nel progetto italiano “Supermarket” e nel 1961 ne diventa il proprietario. Comincia così, come un secondo lavoro, la leggendaria avventura del “Mago di Esselunga”.

È sentimentale – dunque ben poco in tono con il personaggio, sobrio al limite della durezza - dire che senza Bernardo Caprotti il mondo dell’imprenditoria italiana e, in particolare, milanese, non è più lo stesso. Eppure è così. Sente il vuoto anche chi quel mondo lo tocca da anni in modo tangenziale, come noi della cosiddetta stampa “di settore”.

È lo stesso vuoto che si era già avvertito a fine dicembre 2013, con le agrodolci dimissioni ufficiali del padre fondatore da Esselunga, ufficiali perché tutti sapevano, specialmente nella sua azienda, che il grande capo – presidente era già dal 2011 Vincenzo Mariconda e amministratore delegato, dal 2008, Carlo Salza - avrebbe comunque continuato a dare prove della sua inossidabile onnipresenza.

Come in effetti, puntualmente, è poi successo in occasione dei maggiori opening e nelle sue poco frequenti, ma molto ficcanti, incursioni sui giornali, in particolare sul “Corsera”, testata che da lombardo Doc - era nato ad Albiate (MB) il 7 ottobre 1925 - gradiva particolarmente, anche in virtù della lunga frequentazione con la famiglia Crespi e dell’amicizia con l’ex direttore, Ferruccio De Bortoli.

«Non crediate di liberarvi così facilmente di me. Non significa affatto che, a Dio piacendo, io non possa continuare. Penso di avere il diritto di prendermela con un po' più di calma. Qui c'è gente fortissima, un’organizzazione rigorosa e straordinariamente sciolta. E la predisposizione di un futuro che mi lascia tranquillo. Vedo un domani di eccellenza e di continuo progresso con una ragionevole espansione. Questa è una cosa di cui mi sono preoccupato per sessantadue anni e che è ben chiara e sentita da chi ci sarà», aveva scritto ai propri collaboratori nella sua particolare lettera di congedo.

E agli stessi lavoratori, che gli avevano organizzato una festa a sorpresa, si era rivolto direttamente, il 23 dicembre, nella sede di Limito di Pioltello, con parole scherzose, per sdrammatizzare, ma, come sempre, senza nulla concedere alla retorica, o alla nostalgia: «Ho dato le dimissioni. Ma quello in pensione sono io, voi tornate al lavoro».

Sessantadue anni. Tanti infatti ne erano passati da quando, nel 1951, a 26 anni, il neo Dottor Caprotti, figlio di industriali cotonieri, conclusi gli studi in legge, era andato negli Stati Uniti per studiare proprio l’industria tessile. Un tirocinio che era quasi una premonizione, visto che già l’anno dopo, nel 1952, in seguito alla morte del padre Giuseppe, si era trovato al timone dell’impresa di famiglia.

E i supermercati? Per lui, fino ai primi anni Sessanta, non saranno che un secondo lavoro, anche se, in effetti, dal 1957 aveva affiancato, con una quota del 18% - Marco Brunelli (Unes, “Iper la grande I”) entra con il 10% e la famiglia Crespi con il 16 per cento - il grande Nelson Rockefeller nella prima impresa italiana della Gdo, partita con “Supermarket” (questa l’insegna, concepita con la “S” allungata dal designer svizzero Max Huber). Il punto di vendita pilota - chiuso dopo 50 anni di attività, il 16 gennaio del 2007 – è quello di Milano, in Viale Regina Giovanna, dove oggi sventola la bandiera di Carrefour.

Nel 1961 Bernardo, con i fratelli Guido e Claudio, rileva il 51% di quota del socio americano, per 4 milioni di dollari. Un investimento davvero considerevole – almeno per i tempi –, ma lungimirante, visto che oggi Esselunga – la cui vera ragione sociale resta Supermarkets Italiani Spa - marcia oltre i 150 punti di vendita in 7 regioni - Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio – per un fatturato 2015 di 7.312 milioni, un Mol di 625 milioni e un utile netto di 290, oltre 2.100 addetti e una redditività al metro quadrato, secondo Mediobanca, di quasi 16.000 euro, quanto una profumeria di fascia alta.

Come tutti i grandi uomini ebbe grandi amici, fra i quali il cardinale Tarcisio Bertone, già segretario di Stato vaticano e, si dice, addirittura Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, e anche grandi nemici, o piuttosto rivali. Il gruppo Coop, in primis, accusato più volte di monopolismo in alcuni territori.

E infatti nel 2007 esce, per i tipi di Marsilio, il suo pamphlet “Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani”, dove, in 187 pagine, Caprotti racconta la propria storia, ma anche gli albori e i retroscena della Gdo italiana e mette sotto accusa il leader.

Identificare quel best seller da 300.000 copie, senza contare le successive ristampe, solo con un atto di accusa contro Coop sarebbe riduttivo, ma la “riduzione” è già nel titolo. Infatti il primo risultato è appunto una battaglia legale con il competitor di sempre. Ne derivano querele, in particolare da parte di Coop Italia, Coop Liguria e Coop Estense, procedimenti che però vedono Caprotti bene in sella. Addirittura, a giugno 2012, interviene l’Agcm che condanna Coop Estense a una maxi multa da 4,6 milioni di euro, poi ribadita, a inizio aprile del 2014, dalla Sesta sezione del Consiglio di Stato. L’imprenditore, nel marzo 2016, esce al contrario sconfitto – condannato a 6 mesi, con pena sospesa – per una presunta campagna di diffamazione contro Coop Lombardia.

Peppone e Don Camillo? In un certo senso sì, se si vuole prendere la cosa sullo scherzoso, anche se le somme in ballo non fanno certo ridere. Più dolorosa è l’intricata guerra legale con i figli Giuseppe e Violetta, nati dal primo matrimonio. Dolorosa perché le rivalità di interesse nelle famiglie sono sempre molto amare, intricata perché si è parlato di tutto e del contrario di tutto: diffamazione, atti persecutori, intercettazioni telefoniche e via discorrendo. Motivo del contendere le azioni del gruppo Esselunga, intestate in via fiduciaria ai due figli maggiori, ma con il diritto per il padre di rientrare nella sua piena proprietà, cosa poi accaduta nel 2011.

Anche qui, con la decisione del 2 luglio 2014, la Corte di Appello di Milano ha dato ragione al Vecchio Leone. Il 6 marzo del 2015 il Tribunale di Milano, ha chiuso la parte civilistica e ritenuto «improcedibili tutte le domande esperite da Giuseppe e Violetta Caprotti nei confronti del padre Bernardo, a eccezione di quelle di usucapione e di decadenza dell’usufrutto». Una pronuncia riconfermata, a maggio 2016, dalla prima Corte d’appello civile di Milano.

Vittorie? Legalmente sì. Ma, senza volere fare del buonismo o, peggio, del sentimentalismo, oggi che Bernardo Caprotti non c’è più viene davvero da chiedersi se mai ci possano essere vinti e vincitori in una guerra che ha visto opposti, tanto a lungo e tanto duramente, padre e figli.

Ma questo era Bernardo Caprotti, un cinico per posa – è noto il suo grande impegno nella filantropia e nella beneficienza -, innamorato della dignità e della frugalità. A luglio 2014, in un pranzo-intervista con Dino Messina, una delle grandi firme del “Corriere della Sera”, dopo essersi rifiutato di commentare più di tanto il dissidio con Giuseppe e Violetta, definendolo semplicemente “un dolore”, tornava a parlare della sua vita di imprenditore, ma anche, e soprattutto, del domani: «Quali saranno i negozi del futuro? Se ne hai 5 e sbagli il modello di business puoi passare a far altro, ma se ne hai 150 e più di 21.000 dipendenti e non indovini il format, ti devi solo sparare. Domani andrò a fare un giro al cimitero di Albiate e in qualche negozio della Brianza». Negozio Esselunga ovviamente, per girare tra i lineari e parlare, forse in incognita, o forse no, con cassiere e scaffalisti. Comportamenti comuni di un uomo fuori dal comune.

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