Quanti sono i distributori alimentari che restano aperti, anche all’indomani dell’ultimo Dpcm sull’emergenza Covid che entra in vigore da oggi, 23 marzo?

Secondo Unioncamere-Infocarmere e considerando solo l’alimentare – il decreto ha salvato anche edicole, tabaccai, benzinai, farmacie e parafarmacie – la rete è composta da 230.000 punti vendita, un numero che assicura una copertura capillare.

Il maggior numero si trova in Campania (quasi 33.000 con 37.000 dipendenti), che vanta la maggiore rete a livello nazionale di piccoli esercizi commerciali al dettaglio (oltre 19.000), di minimarket (quasi 11.000) e di negozi di surgelati (633).

Di “taglia” maggiore sono invece gli oltre 25.000 esercizi alimentari della Lombardia, seconda per diffusione di punti vendita di questo settore, al cui interno lavorano oltre 82.000 dipendenti.

Non a caso questa regione vanta il maggior numero di ipermercati attivi nel Paese (212 con 23.000 dipendenti), ai quali si affiancano 2.100 supermercati, in cui lavorano 38.000 persone. Non mancano però anche i negozi di vicinato: quasi 15.000 quelli con 12.000 addetti.

Ampia la disponibilità di esercizi commerciali dedicati al cibo e alle bevande anche nel Lazio: oltre 24.000 con 44.000 lavoratori. Nella regione della Capitale, in cui un po’ tutte le tipologie di vendita alimentare sono rappresentate, si concentra il maggior numero di discount a livello nazionale: 363 con quasi 4.000 dipendenti.

La regione è anche al secondo posto per diffusione di ipermercati (90 con quasi 2.000 lavoratori) e al terzo posto (dopo Campania e Sicilia) per presenza di supermercati (oltre 2.500 con più di 21.000 lavoratori).

A seguire la Sicilia (quasi 21.000 negozi e grande distribuzione food con oltre 32.000 dipendenti e il primato nazionale per numero di supermercati) e la Puglia (oltre 18.000 e 28.000 lavoratori).

Sfiorano, infine, quota 47.000 i lavoratori delle farmacie.

Insomma, la rete è più che solida il che dovrebbe rasssicurare tutti. Peccato che, come spiega un’indagine Coldiretti/Ixè, nonostante l’emergenza Coronavirus e gli inviti a restare a casa, quasi 1 italiano su 3 (30%) non resiste nemmeno 72 ore prima di uscire per fare la spesa.

Il risultato è che, nel 38% delle case, sono state ammassate scorte di alimentari e bevande per il timore ingiustificato di non trovali più disponibili sugli scaffali. Nelle dispense sono stati accumulati soprattutto pasta, riso e cereali (26%), latte, formaggi, frutta e verdura (17%), prodotti in scatola (15%), carne e pesce (14%), salumi e insaccati (7%) e vino e birra (5%).

Un comportamento irrazionale che provoca file tanto interminabili, quanto pericolose, con lunghe attese dovute alla necessità di scaglionare gli ingressi e mantenere la distanza di sicurezza.

Scarica il testo del Dpcm 22 marzo 2020