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Vip Val Venosta: un perfetto esercizio di filiera

Vip Val Venosta: un perfetto esercizio di filiera
Vip Val Venosta: un perfetto esercizio di filiera

Vip Val Venosta: un perfetto esercizio di filiera

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Redazione

Vip, l’associazione delle cooperative ortofrutticole della Val Venosta, riunisce 1.

00 produttori su una superficie agricola totale di 5.200 ettari, con una media di 3 ettari a socio. Conta, inoltre, circa 900 collaboratori complessivi e dà vita a un forte indotto in termini di vivaismo, logistica e altre attività. Si tratta di un formidabile polmone socioeconomico per il territorio, che evita lo spopolamento. A parlarci delle strategie è Fabio Zanesco, direttore commerciale.

Cominciamo dall’ultimo raccolto…

È stato in linea con le nostre previsioni, sulle 350.000 tonnellate, superiore agli ultimi due anni, segnati invece da molti eventi climatici avversi. Questo andamento è coerente con quello europeo, con raccolti in crescita, cosa che ha aumentato la disponibilità di mele per arrivare intorno ai 12,5 milioni di tonnellate, con un aumento significativo soprattutto in Polonia. Il mercato è stato, nel 2021, un po’ meno dinamico, per l’offerta più abbondante e per le difficoltà logistiche, legate a loro volta all’impennata dei costi energetici. Così oggi le nazioni extra europee sono un po’ meno vicine. Tuttavia, il mercato regge e mi sento di esprimere un moderato ottimismo per la seconda parte della stagione, cioè fino alla nuova produzione di settembre.

E i canali?

Vip ha mantenuto le proprie posizioni nei propri canali principali. Noi lavoriamo, per il 60%, con l’Italia. Questa quota è, a sua volta, suddivisa in un 60% Gdo e in un 40% che va ai grossisti e dunque, poi, ai negozi tradizionali o all’Horeca. Il restante 40% è export, a sua volta suddiviso in un 80% per l’Europa e in un 20% ai Paesi terzi. Questi dati sono stabili da anni e non ci hanno dato sorprese, nonostante una piccola contrazione dei flussi in uscita, per l’introduzione di molte varietà premium, più ‘capite’ e apprezzate dal consumatore italiano ed europeo.

La pandemia ha inciso?

In un mercato del fresco che, almeno nel 2020, ha sofferto, la mela, frutto durevole e conservabile, ha resistito molto bene. Nella fase più acuta della pandemia, primavera 2020, le vendite sono aumentate, con una crescita dell’acquisto medio, specie per il bisogno di diradare le visite nei punti vendita al dettaglio. In seguito, tutto si è normalizzato, ma hanno cominciato a pesare, come dicevo, le maggiori complessità logistiche, che hanno portato i produttori a focalizzarsi di più sull’area Ue.

Quali sono i vostri Paesi importatori?

Per noi i grandi mercati esteri rimangono la Germania, la Scandinavia e la Penisola iberica. Variabile la quota in un insieme di altre nazioni continentali che, sebbene produttrici, non hanno tutte le varietà e qualità di mele, il che lascia spazio all’importazione e alla copertura di molteplici bisogni di consumo.

Le nazioni più dinamiche?

L’India ci ha dato, in questi anni, le maggiori soddisfazioni in termini di crescita. Pur essendo una forte produttrice, ha vissuto e sta vivendo, nell’ultimo lustro, una vera esplosione della domanda di mele premium, specie a causa della guerra dei dazi, apertasi, nel 2019, con gli Stati uniti. Gli americani hanno ceduto il passo, in primis agli italiani, poi ai francesi e, per la fascia a basso costo, a polacchi, turchi e iraniani. Vista la popolazione locale, 1,38 miliardi di persone e la forte presenza di vegetariani (le stime parlano di un 40-50 per cento circa, ndr.), e considerati i significativi investimenti sulla logistica del freddo, si possono aprire nuovi e ampi bacini di popolazione. Il mercato indiano ha un potenziale davvero enorme. E infatti le importazioni di mele premium crescono in maniera impetuosa, anche perché la produzione locale migliora con lentezza ed è comunque limitata alle zone fredde, come l’area nordica del Kashmir.

Come vi approcciate alle altre nazioni?

Le nostre modalità di presenza variano: talora siamo presenti direttamente, con il nostro marchio, contraddistinto dalle due coccinelle, a volte facciamo operazioni di co-branding, mentre in altri casi ci proponiamo alla Gdo come fornitori per le private label. Sono approcci molto differenti e naturalmente studiati in funzione delle singole realtà locali. Devo dire, però, che tutti i mercati stanno facendo grandi passi in avanti e che il consumatore mondiale è sempre più sofisticato e pronto ad alternare stili di acquisto che ora privilegiano la qualità, ora il prezzo. Dunque, anche la nostra presenza si è differenziata per comprendere, nella stessa nazione, le mele Club, di fascia premium e con il marchio registrato della singola varietà, le Mdd, e i nostri brand – Val Venosta, Bio Val Venosta, Amélie, Mela Alto Adige Igp -, i quali rappresentano un buon 40% della nostra offerta estera.

Esiste un ‘pericolo cinese’?

No: la Cina, pur essendo il maggiore produttore mondiale, con 2,3 milioni di ettari di meleti e circa 40 milioni di tonnellate annue prodotte, non è una minaccia diretta per gli europei, in quanto consuma in gran parte il proprio eccezionale raccolto. È invece un temibile competitor per alcuni mercati vicini, come il Sud-Est asiatico e (politica a parte), anche in India.

Ortofrutta e marca: è un binomio ancora tanto difficile?

La melicoltura, in questo, è stata antesignana, visto che il settore ortofrutticolo, in larga parte, resta ancora oggi unbranded. Avere un marchio forte è, evidentemente, molto utile per presentarsi al consumatore e dargli garanzie, specie nel nostro caso: Val Venosta è legata all’indicazione geografica (Mela Alto Adige Igp) e dunque alla provenienza. Il marchio permette anche di qualificarsi presso la Gdo. Anche per fare i copacker, infatti, è rilevante presentare un biglietto da visita da innovatori ed esperti e avere una storia che attesti una forte conoscenza del prodotto e delle sue logiche.

Qual è la vostra presenza nei prodotti derivati o lavorati?

Siamo attivi grazie a Vog Products di Laives (Bolzano), che lavora, tra gli altri, con il marchio Leni’s. L’azienda, prima specialista dei semilavorati e del B2B, da vari anni è entrata anche nel segmento consumer con chips, purea, aceto di mele, succhi, prodotto fresco a spicchi… Anche questo è un contrafforte del successo, in quanto permette di utilizzare frutta derivante da raccolti difficili, e dunque, inevitabilmente destinata alla trasformazione.

Parliamo di innovazione varietale…

Esiste, intanto, l’innovazione varietale profonda, che discende da studi, incroci e ricerche che possono durare anche vent’anni. Una strada lunga, ma che porta, regolarmente, a successi e che, nei ‘blind test’, è premiata con punteggi elevatissimi in termini di gusto, croccantezza, succosità. Questi sono comunque una nicchia, che richiede forti investimenti, e tempi di lancio altrettanto laboriosi, visto che il mercato si è stabilizzato su quelle che erano le innovazioni del passato, magari addirittura dell’Ottocento. Ma c’è anche un’innovazione quotidiana per assicurare, grazie a opportune tecnologie, una lunga vita al prodotto.

Possiamo approfondire?

Dal momento in cui il frutto è staccato dall’albero comincia una vera lotta contro il tempo, per conservarlo al meglio, con la sola eccezione di una leggera perdita di acqua, positiva perché concentra gli zuccheri. Oggi le celle ad atmosfera controllata e ad atmosfera controllata dinamica permettono di allungare la durata, guadagnando molte settimane prima della commercializzazione. Altro investimento, utile e necessario, è l’implementazione di magazzini automatici: i sistemi robotizzati riducono al minimo l’intervento umano nelle fasi di stoccaggio, evitando, per esempio, la continua apertura e chiusura delle zone di conservazione, e dunque l’aumento dell’umidità e le escursioni della temperatura che vanno a detrimento della freschezza.

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