Fondato a Barzanò, in Provincia di Lecco, ben 205 anni fa, Salumificio Fratelli Beretta conta oggi 755 milioni di euro di fatturato (250 all’estero), 22 stabilimenti in Italia, Usa e Cina, 19 produzioni Dop e Igp, 1325 dipendenti e oltre 500 referenze con il proprio marchio. Con Enrico Farina, direttore marketing, abbiamo fatto il punto sul gruppo, in crescita - +1,5% nel 2016 in Italia doppia cifra all’estero - anche per merito di una capillare presenza in Gdo.

Prima di parlare dei recenti risultati della vostra azienda facciamo un passo indietro, ripercorrendo le tappe fondamentali percorse negli ultimi 10 anni.
E’ un percorso che ha coinvolto lo sviluppo soprattutto all’estero. La joint-venture con il colosso Yurun ha permesso, tra il 2005 e il 2007, di mettere le basi nel grande mercato della Repubblica Popolare. In febbraio 2012 è stata inaugurata una fabbrica a Ma’anshan, a circa 300 chilometri da Shanghai, completamente dedicata alla produzione della salumeria all’italiana.
Anche la scelta degli Stati Uniti non è stata casuale: non solo hanno inciso la popolarità della nostra cucina e la presenza di una forte comunità di emigrati, ma anche il gusto della sfida. Le leggi sull’importazione di beni alimentari sono infatti molto severe e, come tali, finiscono per riconoscere un vantaggio competitivo agli operatori che hanno il coraggio di essere presenti in loco. E così gli States dovrebbero fruttare, già quest’anno, vendite per 100 milioni di dollari, anche grazie alla recente apertura, a mezz’ora da New York, dello stabilimento di Mount Olive (New Jersey), che è andato a sommarsi a quelli di Fresno (California) e di South Hackensack (ancora nel New Jersey) e alla proprietà del brand locale Busseto, che completa il marchio Beretta e la prossima etichetta Mount Olive. Da aggiungere la Gran Bretagna, dove il gruppo è attivo, in modo indiretto, in partnership con Tesco. Tra gli eventi recenti l’acquisto, a fine luglio, da parte di Piatti Freschi Italia – società mista fra Beretta e la francese Fleury Michon – di Sapori e gusto italiani (Copaim), specialista della gastronomia fresca con un giro d’affari di 22 milioni di euro.

Ma il grande lavoro si svolge soprattutto sul versante della qualità… corretto?
Fratelli Beretta, pur avendo la data di fondazione, ossia il 1812, nel proprio logo, deve molto del suo sviluppo al boom economico degli anni Sessanta, prima, e all’affermarsi della distribuzione moderna poi. Questo fa sì che il portafoglio sia stato plasmato sulla vendita a libero servizio e dunque sul confezionato, un fatto che indubbiamente ha trainato le vendite, ma anche creato il vissuto di alimento di massa, di qualità media. Applicando tecnologie innovative di confezionamento e opportune azioni di marketing abbiamo alzato il tiro, ma soprattutto deciso di puntare, negli ultimi 15 anni, su alimenti storici della salumeria italiana, un processo che si è compiuto anche grazie all’acquisizione di molte unità produttive per arrivare alla cifra attuale. Le 18 ‘fabbriche’ nazionali coprono le migliori zone di origine: Parma, San Daniele del Friuli, Valtellina, Alto Adige… Beretta si è sempre dedicata alla trasformazione: nonostante questo abbiamo colto, specie nell’area tedesca e anglo sassone, l’attenzione al benessere animale e stiamo sviluppando una nostra produzione, con forti protocolli, stesi con Migros, in Svizzera, e con Tesco, in Gran Bretagna, sul trattamento del bestiame. Non è solo una scelta etica, ma assicura anche un livello qualitativo molto più alto.

I salumi piacciono a tutti, ma a volte i consumatori ne hanno un po’ paura, specie per la propria linea. Cosa ha fatto Beretta per posizionarli all’interno del trend salutistico?
Si può lavorare sulla riduzione dei grassi, ma il rischio è di snaturare il prodotto. Se è vero che il salume ha, per forza di cose, un certo tenore lipidico, è anche vero che il grasso suino, secondo i nutrizionisti, è uno dei meno nocivi, sia per il basso livello di acidi grassi e di acidi trans, sia per limitato decadimento. Ci sono comunque prodotti, come il prosciutto crudo che, una volta sgrassato, ha un basso apporto di lipidi, molti sali minerali, un contenuto di sale modesto: tutti elementi che lo rendono insostituibile. Negli ultimi 25 anni il grasso medio del suino, inoltre, è calato del 15% e dunque il problema si può anche risolvere con un’opportuna selezione delle materie prime. Rimane il fatto che alcune ricette della tradizione, come il salame e la coppa, non possono essere magre più di tanto.

Uno dei vostri punti di forza è il würstel, attraverso Wuber. Quali le innovazioni in questo segmento?
Abbiamo lanciato un nuovo tipo di würstel che dà una risposta concreta a chi ha demonizzato e demonizza questo prodotto, con una gamma a base di parti nobili: spalla suina, mondata e pulita, e guanciale. Il segnale lanciato al trade è che si possono realizzare salumi a regola d’arte, tanto da fare concorrenza ad alimenti ritenuti top, come il filetto di manzo. Questo anche perché il panorama nutrizionale, in tutto il mondo, sta cambiando, sulla scorta di molti allarmi, come quelli lanciati dall’Oms. Bisogna comunque fare dei distinguo: i nitriti e nitrati, indubbiamente nocivi, non sono certo dovuti solo ai salumi. Anzi l’industria più seria ne riduce costantemente l’impiego. Quello che fa davvero male è, come sempre, l’eccesso di consumo, e non il consumo in sé. Resta vero che il settore, per rimanere in testa alle preferenze della gente, deve impegnarsi sul livello qualitativo: da qui la proliferazione di alimenti carnei sempre più fini e sicuri. Il miglioramento continuo è legato, come dicevo, alla materia prima e, più a monte, ai mangimi per animali, che non devono più tollerare antibiotici, Ogm e altri componenti a rischio. Il riposizionamento verso l’alto è ormai un fattore critico di successo per ogni operatore del comparto.


Beretta vuol dire anche piatti pronti, grazie all’acquisizione di Fresco Vogliazzi, avvenuta circa 5 anni fa. Quali le prospettive in questo ramo di attività?
Sicuramente l’azienda ha visto nella diversificazione un modo per essere più presente e tagliare i rischi finanziari legati a un’attività relegata in un unico mercato. Siamo partiti con solide basi e su una fascia alta, grazie alla partnership con Fleury Michon. L’ingresso di Vogliazzi ci ha permesso di ampliare il portafoglio e in questo momento siamo leader indiscussi. Il mercato, superata l’onda peggiore della crisi, ha ricominciato a crescere con ottimi riscontri.

Avete in mente altre acquisizioni o preferite fare leva sul core business?
Se parliamo del mondo dei piatti pronti, dove di fatto ci mancano solo i dolciari, al momento non abbiamo in programma di diventare una multinazionale del cibo italiano. Anche se nessuno può escludere che in futuro si presentino occasioni interessanti, oggi vogliamo dunque concentrarci sul nostro core business, i salumi, con il corollario della gastronomia, che si accompagna in modo naturale al nostro mercato d’origine, un po’ come avviene nelle grandi salumerie al dettaglio. In Italia esistono potenzialità enormi nei piatti pronti: basta fare un confronto con la vicina Francia, dove il prodotto ha a disposizione scaffali per noi ancora difficilmente immaginabili. Inoltre c’è molto lavoro da svolgere sul versante nutrizionale, spiegando agli italiani la validità di queste preparazioni alimentari. Quanto ai salumi la nostra posizione è forte: abbiamo un secondo o terzo posto che ci contendiamo con Citterio, alle spalle del leader, Gruppo Veronesi. E la nostra quota sarebbe anche più alta se togliessimo quel 60% di quota che, nei würstel, arriva dai prodotti avicoli. Sicuramente negli affettati c’è una bella competizione, che ci vede leader in alcuni segmenti, come i cubetti e i salamini snack.

Concludiamo con la comunicazione. Quali sono le vostre strategie?
Va detto che non siamo i big spender del settore. Abbiamo però una forte continuità nella sponsorizzazione sportiva, specie per quanto riguarda il calcio, dove il nostro legame con il Torino è storico. Ci impegniamo anche nell’automobilismo, nel motociclismo e nella pallacanestro.
In pubblicità classica il nostro budget non è enorme, ma le nostre iniziative ci hanno dato grandi soddisfazioni. L’anno scorso abbiamo realizzato una campagna su cotto e crudo affettati che ha avuto come protagonista Luca Morello, un bimbo di 5 anni. Lo spot è andato in onda, a fine giugno 2016, per 5 settimane sulle reti Mediaset, in radio e sul web. Il messaggio era finalizzato a dare rassicurazioni dopo l’allarme Oms sulle carni e ha dato riscontri notevoli sui volumi di vendita. Ci stiamo anche muovendo nel mondo dei social, con moderazione, ma, credo, nel modo giusto. Sarebbe bello potere fare di più, ma la crescita del perimetro produttivo in Italia e soprattutto all’estero, è sicuramente la maggiore priorità di investimento.