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Il Consorzio del Parma sfida il caro suini

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Il Consorzio del Parma sfida il caro suini

Il Consorzio del Parma sfida il caro suini

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Fabio Massi

di Armando Brescia e Maria Teresa Giannini

Una produzione da 800 milioni di euro, un export che di milioni ne vale 290 e un giro d’affari complessivo di 1,6 miliardi di euro nel 2022: queste sono solo alcune delle cifre che consentono di “inquadrare” la Dop Prosciutto di Parma e il suo Consorzio, che ha da poco compiuto 60 anni.

Fondato il 18 aprile 1963 da 23 produttori, il Consorzio conta oggi 134 aziende con 3 mila addetti alla lavorazione del Prosciutto in provincia di Parma, che diventano 50 mila, considerando l’intera filiera. A marzo di quest’anno ha ricevuto l’ok della Commissione europea alle modifiche apportate al Disciplinare di produzione: dopo un biennio che ha messo alla prova molte aziende, il Consorzio si prepara quindi ad affinare la propria produzione dal primo all’ultimo anello della filiera, continua a puntare sull’export e prosegue gli investimenti di ricerca in tema di sostenibilità, soprattutto sul pre-affettato, come racconta Paolo Tramelli, marketing manager del Consorzio del Prosciutto di Parma.

Com’è andata nell’ultimo anno per il consorzio?

Come per molti settori, anche per il nostro il 2022 è stato un anno molto complicato. Si sono susseguite situazioni sui generis, culminate nel problema dei problemi: la scarsità di materia prima, cioè le cosce di maiale.

Da cosa è stata causata?

La scarsità a cui mi riferisco risaliva già al periodo dell’emergenza Covid ed è poi proseguita con la guerra in Ucraina. È dovuta principalmente all’aumento dei costi d’allevamento, come l’energia e il prezzo del mais per l’alimentazione dei suini. Già da un paio d’anni gli allevatori hanno difficoltà a rientrare nelle spese, di conseguenza il numero dei capi è calato e i prezzi si sono molto alzati: oggi la materia prima costa l’80% in più rispetto a 3 anni fa. Eravamo a 3,50 euro al chilo, adesso siamo a 6,20 al chilo. La crescita dei prezzi, inoltre, sta producendo inevitabilmente una contrazione dei consumi, che durerà, secondo le nostre stime, ancora 2 anni, in quanto i maiali attuali diventeranno prosciutto fra circa 24 mesi.

Ci sono delle politiche o azioni consortili comuni per cercare di ridurre l’impatto del rialzo dei costi e dell’inflazione, o si naviga a vista?

Si dovrebbe intervenire nel dialogo di filiera. Tutti sanno che bisognerebbe programmare meglio ma ogni anello della filiera fa fatica a mettere ciò in pratica, inclusa la grande distribuzione.

Nonostante questo, state continuando a lavorare per un miglioramento qualitativo della vostra offerta. A Bruxelles hanno approvato da poco le modifiche al Disciplinare. Come inciderà questo sul vostro lavoro?

Parliamo di cambiamenti proposti ormai quattro anni fa, che sono stati approvati il 6 marzo ma devono ancora entrare in vigore, situazione sintomatica di quanto sia lenta la “macchina” delle Dop: per fare cambiamenti bisogna aspettare anni e a volte le proposte diventano vecchie. Detto questo, siamo intervenuti, innanzitutto sulla riformulazione dei tipi genetici ammessi, è stato revisionato l’elenco degli alimenti consentiti per gli animali, rafforzando il legame con il territorio, e c’è stata un’ulteriore specificazione geografica, che include, fra le regioni in cui possono essere situati gli allevamenti, anche il Friuli-Venezia Giulia. Più a valle della filiera, nel processo di trattamento e conservazione, è stato ridotto il tenore salino massimo consentito da 6,2% al 6% ed è stata aumentata di 2 mesi la stagionatura minima, che passa da 12 a 14 mesi.

Parlando di export, è ancora considerato una valvola di sfogo rispetto a un mercato interno con molti problemi? Come sono andate le cose nel 2022, cosa vi aspettate per il prossimo futuro e come sta agendo il consorzio attualmente?

Una volta l’export era visto in questo modo. Per fortuna però il comparto si è evoluto e oggi esportare, per molte delle nostre aziende, è una volontà strutturale: non lo si fa per vendere l’invenduto del mercato domestico, ma c’è la consapevolezza che si debba investire nei rapporti con gli altri Paesi e coltivare una visione di lungo termine. Va detto che, alla luce di quanto sta avvenendo oggi, per certe aziende esportare rappresenta anche una necessità, perché ormai il mercato è saturo, ma solo chi ha “costruito” per tempo, oggi raccoglie i frutti. Come consorzio, negli ultimi 15 anni abbiamo investito il 50% delle risorse nell’export; abbiamo iniziato a espanderci in quella direzione quando esso rappresentava il 15% del nostro fatturato e oggi siamo al 33 per cento. Questo è l’effetto della nostra attività di presidio dei mercati, anche grazie ad agenzie di promozione, a eventi, fiere ma, ancora prima, del dialogo con le autorità locali per rendere possibile l’export delle carni: prepariamo le nostre aziende alle ispezioni dei veterinari stranieri. A cadenze regolari, individuiamo aree nuove in cui effettuare la nostra penetrazione commerciale. Trent’anni fa gli Stati Uniti, poi Giappone, Australia e Cina.

Cosa pensate di fare quest’anno a livello comunicativo?

Nell’ultimo biennio (2022-23) ci siamo concentrati sul digitale, soprattutto attraverso i nostri canali social e all’attività display, oltre a proporre una serie di eventi sul territorio nazionale e la comunicazione in store fatta con le grandi catene e con il dettaglio tradizionale, con l’obiettivo di continuare a evidenziare la naturalità e l’assenza di additivi del nostro prodotto.

Chiudiamo parlando di sostenibilità. Le vaschette di pre-affettato rappresentano uno dei prodotti più venduti, oltre che più esportati (per il 71% sono andate fuori dall’Italia): state lavorando sul packaging?

Nel 2022 abbiamo realizzato e venduto 91 milioni di vaschette che hanno fatto il giro del mondo. Quella della plastica però è una questione annosa e per questo abbiamo svolto una ricerca su materiali alternativi più sostenibili e sulla loro applicabilità a questo format, studiando come si “comportasse” il prodotto. I best performer sono stati la carta, che ha dato risultati (in termini di capacità di conservazione) ancora migliore del pack attuale, la plastica riciclabile, la bio-plastica compostabile. Lo scorso 27 marzo abbiamo presentato il pack alle nostre aziende.

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