Felicetti, pastai ad alta quota dal 1908
Felicetti, pastai ad alta quota dal 1908
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Fondato nel 1908, Pastificio Felicetti di Predazzo, in provincia di Trento, è una società per azioni ancora saldamente nelle mani della famiglia del fondatore, che da quattro generazioni porta avanti una produzione di specializzazione nell’alta Val di Fiemme.
Ancora oggi è l’unico pastificio in Europa situato sopra i 1.000 metri di altitudine. Con un giro d’affari di 46 milioni di euro e due stabilimenti, che danno lavoro a 106 persone, l’azienda si caratterizza per una produzione mai convenzionale e per le sue scelte di campo, a partire dal biologico. Strutturata in 4 linee principali, Felicetti raggiunge complessivamente 30.000 tonnellate all’anno, con oltre 200 formati differenti. La quota in volume destinata all’export è decisamente preponderante (70%) ed è suddivisa in 50 Paesi, fra i quali spiccano, per quantitativi, la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e il Giappone. Con l’amministratore delegato, Riccardo Felicetti, che è anche presidente del gruppo pasta di Unione italiana food, siamo partiti dall’impatto del Covid.
Anni storicamente complessi. Cosa è successo in Felicetti?
Abbiamo tenuto in sicurezza l’azienda che è rimasta del tutto sana sia finanziariamente, sia per quanto riguarda i nostri lavoratori e per tutti coloro che, a monte e a valle della filiera, collaborano con noi. È continuata la nostra strategia di investimento sulla produzione, a cominciare dalla partenza del nostro nuovo stabilimento di Molina di Fiemme che ha comportato un impegno di 35 milioni di euro. Abbiamo inoltre inaugurato una serie di nuove linee di confezionamento, che ci consentono di offrire al mercato confezioni al 100% in carta, senza utilizzare nemmeno sottilissimi strati di plastica. Tutto questo ci dà la possibilità di guardare al periodo dopo il raccolto 2022 con rinnovata fiducia.
E i trend?
Sia in Italia, sia all’estero, lavorando anche nel canale Horeca, abbiamo in parte sofferto a causa delle chiusure, controbilanciate però dall’aumento nel retail, che tuttavia noi presidiamo entro certi limiti (geografici) in Italia e all’estero. Nel fuori casa stavamo e stiamo sviluppando, da due anni, opportunità molto interessanti, ma come tutti sanno, il biennio è stato il peggiore della ristorazione e dell’ospitalità.
Veniamo a oggi…
Malgrado gli investimenti e la fiducia nel nostro lavoro e nel nostro prodotto, il momento è, per lo meno, complicato, per via delle materie prime. La filiera a monte è stata investita da rincari che stanno creando gravissime tensioni, le quali finiranno per ripercuotersi o sui fornitori o sui clienti, e che costringeranno molti imprenditori a fare scelte difficili e dolorose.
Quali sono i best seller della pasta?
Il formato di maggiore successo, per tutto il mondo della pasta, è, e rimarrà sempre, lo spaghetto. Se invece pensiamo ai volumi e comprendiamo nel ragionamento anche l’estero, a vincere è la pasta corta, a parte il Giappone dove lo spaghetto torna protagonista, con l’80% delle vendite. Altri formati molto consumati, in tutte le nazioni, sono le penne, i rigati in genere, i fusilli e le farfalle che, nelle loro declinazioni più classiche, fanno la felicità di italiani e stranieri.
E per materia prima?
Appunto: oggi, più che al formato, si guarda proprio a questa. Sullo scaffale lo stesso formato è regolarmente declinato in classico, integrale, biologico, senza glutine, trafilato in teflon o in bronzo, con una segmentazione straordinaria che risponde a una sempre maggiore diversificazione della domanda. In questo caso i prodotti maggiormente graditi, oltre a quelli standard, dove si privilegia l’origine italiana, la specie varietale prediletta, nel nostro caso, è quella ottenuta con il grano duro Senatore Cappelli. Molto apprezzato, pur essendo di nicchia, è anche il farro delle nostre aree appenniniche, dove questa coltivazione ha anche un rilievo socioeconomico. Interessante anche il fenomeno dei grani antichi, in quanto amplia ulteriormente le possibilità di scelta all’interno di una categoria antica, ma che sa sempre rinnovarsi. Certo, per distinguerli, bisogna essere un po’ esperti, o scegliere marchi affidabili, ma ripeto, in sé sono attraenti.
Avete un rapporto storico con il biologico. Parliamone…
Il bio, oltre all’italianità della materia prima, è la vera punta di diamante e, in casa Felicetti, rappresenta il 60 per cento della produzione, che diventa il 100% in alcuni dei nostri mercati esteri. Ritengo che produrre pasta nella Val di Fiemme, dunque all’interno di un’area che è patrimonio naturale dell’Unesco, acceleri la spinta verso una superiore sensibilità ecologica e salutistica. Siamo stati, negli anni Novanta, fra i primi a operare questa scelta. Tutta la nostra crescita, dal 1997 in poi, è stata realizzata con il bio e la nostra offerta sarebbe da tempo al 100% bio, se solo tutti i nostri partner agricoli fossero disposti a seguirci su questa strada.
L’estero è il vostro primo interlocutore. Quali sono i gusti degli stranieri?
Oltre confine, come credo in tutto il mondo, il successo della pasta è dovuto, innanzitutto, al suo elevatissimo rapporto qualità/prezzo, ma esercitano anche una forte attrattiva il biologico e l’integrale. A livello geografico, oltre ai nostri classici mercati del nord Europa, è molto dinamico, il Nordamerica, seguito dal Sud Est asiatico, come lo sono i mercati africani, dove sicuramente c’è una grande attenzione verso il prodotto, anche se limitata dalla mancanza di acqua. Per giunta, in questo continente, operano competitor stranieri – prevalentemente turchi ed egiziani - molto aggressivi, sorretti da contributi pubblici, e caratterizzati da una qualità davvero modesta. Qui si compra un prezzo, piuttosto che un prodotto, facendo anche leva sulla diffusa povertà. Sono sicuro che, in un futuro ancora piuttosto lontano, anche in questi territori ci sarà chi vorrà e potrà affrancarsi dalla logica della convenienza spinta, per puntare sulla qualità. Allora arriveranno gli italiani.
Parliamo del vostro nuovo stabilimento…
L’investimento di Molina di Fiemme è stato deciso perché la nostra capacità produttiva era satura già dal 2015, con il rischio di perdere clienti fedeli, i quali avrebbero volentieri acquistato volumi maggiori. Inoltre, non potevamo assecondare improvvisi picchi di crescita, o nuove opportunità. C’erano varie scelte, ma questa ci è parsa la più consona alla nostra volontà di continuare a svilupparci nella nostra valle, dove abbiamo una funzione sociale di rilievo, mantenendo gli standard qualitativi già presenti nello stabilimento di Predazzo. La ‘fabbrica’ di Molina consta oggi di una tecnologia assolutamente analoga a quella di Predazzo, moderna, ma capace di replicare tecniche artigianali grazie a sistemi informatici e di automazione che riducono il lavoro manuale, favorendo i compiti di controllo delle nostre maestranze. Abbiamo anche fatto una scelta precisa e razionale: il nuovo impianto lavora su lotti più ampi, mentre quello storico è concentrato su prodotti a più alto tasso di servizio, declinati in una quarantina di formati innovativi e ottenuti con particolari materie prime.
Perché la pasta di montagna è meglio?
La pasta è fatta solo di acqua e grano. Il secondo si può trasportare, mentre il primo no. Noi riceviamo l’acqua delle Dolomiti dove sgorga a oltre 2.000 metri di altitudine. La qualità dell’acqua e dell’aria (per l’essiccazione) incidono molto sul risultato finale e credo che sia molto meglio essiccare la pasta con un’aria pura e non inquinata. Forse è solo una questione di stile, visto che oggi la tecnologia è in grado di filtrare l’aria in tutti i modi possibili, ma a noi piace pensarla così.
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