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Fairtrade, il vero driver di sviluppo è la marca del distributore

Fairtrade, il vero driver di sviluppo è la marca del distributore
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Fairtrade, il vero driver di sviluppo è la marca del distributore

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Redazione

Uguaglianza di genere, lotta al lavoro minorile, cambiamento climatico e tutela dei diritti umani: questi gli obiettivi sui quali Fairtrade International punta, come organizzazione etica globale che, attraverso il proprio marchio si propone di garantire migliori condizioni di vita alle piccole imprese dei mercati meno agiati.

Il prodotto equo e solidale è ormai anche un grande fenomeno di mercato, come ci spiega Paolo Pastore, direttore di Fairtrade Italia, consorzio di 25 soci– cooperative o organizzazioni non governative - che, per statuto, opera senza fini di lucro.

Chi sono i vostri partner commerciali?

Portiamo la filosofia del commercio equo e solidale soprattutto sugli scaffali della distribuzione e oggi, grazie alla sempre maggiore attenzione ai valori della sostenibilità, lavoriamo, in Italia, con tutte le grandi catene: Coop, Conad, Esselunga, Carrefour, Crai, Selex, Lidl, Despar, In’s Mercato e tanti altri. Alcuni chiedono ancora poche referenze, mentre la maggior parte, e in misura crescente, vuole progetti ad hoc. Non mancano le grandi industrie, come Ferrero, con la quale abbiamo condotto un piano di azione incentrato sul cacao equo.

Quali sono le merceologie di vostro interesse?

Le nostre categorie merceologiche classiche dipendono dalle nazioni di origine. Dunque il focus è sui coloniali, come cacao e caffè, sulle banane biologiche e sullo zucchero di canna. Fatto 100 l’incasso dei prodotti Fairtrade, il 98% è dovuto all’alimentare. In termini di vendite a scaffale è stato movimentato, nel 2016, qualcosa come 110 milioni di euro.

In cosa consiste il vostro lavoro?

Il nostro ruolo, per così dire, è quello di un consulente altamente specializzato che, in nome di un valore morale, raccorda le piccole cooperative di produttori dei Paesi in via di sviluppo, nostre socie, con i clienti delle nazioni industrializzate e con le 150 aziende che si occupano di trasformare le materie prime. Sviluppiamo, per conto della Gdo, intere gamme e siamo in grado di fare fronte a ogni richiesta, grazie alla rete di contatti mondiale di Fairtrade International.

Fornite qualche tipo di certificazione?

Ci occupiamo anche della certificazione, che, naturalmente, mette al centro l’etica, intesa come rispetto dei lavoratori e dell’ambiente, per offrire ai consumatori prodotti ad alto valore aggiunto. Ma non è tutto: le cooperative dei Pvs possono decidere di operare come semplici terzisti, oppure di farsi strada sui mercati internazionali con un proprio marchio, che racconterà un percorso fatto di lavoro, di colleganza, di origine del prodotto. Insomma non bisogna pensare all’equo come a una semplice commodity, ma come a una filiera che ha una storia da raccontare.

Come si è sviluppato il fenomeno Fairtrade in Italia?

Soprattutto grazie alle private label e ancora oggi, fatto 100 il totale dei prodotti equo solidali, il 70% è costituito da Mdd. Antesignana è stata Coop, che è partita per prima e che rimane in testa nella creazione di intere gamme equo-solidali, come il cioccolato Coop. Nel tempo l’idea che il prodotto equo dovesse essere solo un episodio, quasi un fiore all’occhiello, è tramontata per lasciare spazio a quella che è una scelta etica. Del resto, sotto il profilo schiettamente commerciale, la Gdo è stanca di prodotti che hanno poco da dire e desidera raccontare, specie nel food, una storia che abbia una precisa connotazione geografica e una tradizione che affonda nell’artigianato. Fairtrade, in collaborazione con organismi internazionali, come la Fao e l’Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), può soddisfare al meglio questa esigenza, avendo accesso a territori e risorse che altrimenti sarebbero troppo onerosi da raggiungere.

Parliamo dell’etica…

La nostra distribuzione e la popolazione in generale, sono molto consapevoli del fatto che i Paesi ricchi devono dare un contributo alle economie delle nazioni svantaggiate. Sempre più spesso ci viene chiesto di misurare l’impatto degli ordini e degli acquisti sulle relative comunità locali, un contenuto che diventa un feedback verso i consumatori.

Per molto tempo il prezzo finale è stato di ostacolo al prodotto equo. E oggi?

Oggi la forbice si è molto assottigliata, proprio grazie alla maggiore diffusione. Ci sono ancora e ci saranno sempre prodotti premium, ma a questo punto operare nella fascia alta diventa una scelta, in quanto molti altri beni sono allineati alle medie delle marche leader o co-leader. La Gdo e gli importatori hanno dato il proprio contributo, svolgendo un forte lavoro di ottimizzazione della logistica e di compressione dei margini in funzione di una domanda crescente. Il prodotto Fairtrade è diventato competitivo e ancora più etico, visto che il successo commerciale si ripercuote positivamente sulle comunità locali, alle quali viene riconosciuto il giusto prezzo minimo e un premio.

Concludiamo con le vostre strategie di comunicazione…

Abbiamo detto che il consumatore è consapevole, e questo è vero. Ma bisogna sempre tenerne alta l’attenzione e cercare di ampliare il target. Dunque ci sono le nostre settimane Fairtrade, che ogni anno cadono durante la seconda metà di ottobre, interessando migliaia di supermercati italiani. Qui le persone possono incontrare direttamente Fairtrade nel loro punto vendita di fiducia, tramite promoter che si dedicano a fare conoscere i prodotti del commercio equo certificato. È questo il momento giusto per fare luce su un sistema che si propone di cambiare la vita degli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo, ma è anche il momento adatto per spiegare alle persone che un piccolo gesto di acquisto responsabile può fare una grande differenza. Svolgiamo anche azioni per rafforzare la riconoscibilità del marchio di concerto con i partner commerciali, trasformatori e distributori, che vengono supportati nel fornire notizie sui Paesi di origine, sulla storia dei prodotti e delle comunità locali. Preferiamo la comunicazione digitale, più economica, ma anche più adatta alla nostra audience, formata, come dicono le indagini, da consumatori consapevoli e con un alto livello di informatizzazione. Non avere una montagna di carta, come volantini o altro, è, di nuovo, una scelta etica, ma anche funzionale a messaggi che vogliono distinguersi, per contenuto, dalla mera pubblicità.

I numeri di Fairtrade

Le vendite mondiali di prodotti Fairtrade, nel 2016, hanno raggiunto 7,88 miliardi di euro, con una crescita molto interessante per i principali beni certificati: caffè +3%, cacao +34%, zucchero +7%, banane, tè, fiori e piante, con un +5 per cento. Dall’altra parte del mondo, sempre nel 2016, produttori e lavoratori del network hanno ricevuto 150 milioni di euro di premio Fairtrade, una somma di denaro aggiuntiva rispetto al prezzo assicurato dalla certificazione, per avviare progetti sociali, ambientali, di miglioramento della produttività. Parliamo di benefici per 1,6 milioni di piccoli agricoltori di Asia, Africa e America Latina, raggruppati in 1.141 organizzazioni di 73 Paesi.

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