di Luca Salomone

Fondata nel 1966, dalle famiglie Invernizzi (70%) e Barattero (30%) a Moretta, nel cuneese, Inalpi conta un vasto assortimento - prodotti lattiero caseari - formaggi a fette, formaggini, formaggi tipici, burro e latte – ed è un ottimo esempio di efficienza del made in Italy alimentare. Lo dicono le performance e lo confermano alcune grandi operazioni recenti, come l’inaugurazione, a marzo 2023, di una seconda torre di polverizzazione del latte presso la sede centrale.

A spiegarci, nei dettagli, la portata dell’operazione è il presidente di Inalpi, Ambrogio Invernizzi.

Lei ha parlato, per la nuova torre, di uno step molto importante. Per quali motivi?

Ne ho parlato a ragion veduta. Infatti, l’impianto, nei suoi vari passaggi, ha comportato un investimento complessivo di 35 milioni di euro, grazie al quale potremo raddoppiare la produzione di latte in polvere, portandola a 300 milioni di litri all’anno. La realizzazione, a sua volta, si inserisce all’interno del nostro piano industriale 2021-25, da 148 milioni. Facciamo un po’ di storia: lo sviluppo della ‘torre’ è iniziato con un primo grande investimento nel 2009, quando fatturavamo 20 milioni. L’idea è sempre stata di Michele Ferrero e, al primo incontro devo ammettere che ero, io stesso, piuttosto scettico. È stata, invece, un’operazione incredibile, in cui abbiamo trovato tutti la forza di ‘provarci’, soprattutto i conferitori, che hanno abbandonato contratti storici, per conferire il loro latte a un’azienda, la nostra, che ne lavorava pochissimo.

Perché Ferrero?

Le ricordo che è per noi un grandissimo partner. Nel 2010 Inalpi ha siglato, proprio con gruppo Ferrero, uno storico accordo, per dare il via a una filiera controllata e certificata del latte piemontese e per realizzare questo primo, e tutt'ora unico, impianto nazionale di produzione di latte in polvere per l'industria alimentare.

Il tutto a fronte di una performance…

Di una performance che mi lascia indubbiamente molto soddisfatto. Nell’esercizio 2022 il giro d’affari di Inalpi è salito a doppia cifra, del 17 per cento, toccando 210 milioni di euro, e portandoci a un risultato di 10 volte superiore a quello di 14 anni fa. Certo, quello trascorso, non è stato un anno facile, a partire dai rincari energetici, che sicuramente hanno inciso molto di più del costo della materia prima. In ogni caso, per esempio, il nostro marchio è aumentato in modo molto significativo, del 30% circa, un dato che ci fa onore e che rispecchia la fiducia dei consumatori, anche se poi il nostro brand ha ancora un peso piuttosto limitato rispetto al terzismo (industria e Gdo) che ha un’incidenza superiore ai due terzi.

Quali saranno le future evoluzioni?

Intanto sono favorevole alla crescita per linee esterne e poi ci sono l’innovazione e lo sviluppo, italiano ed estero.

Innovazione vuol dire?

Per noi vuol dire progettare alimenti unici, difficili da trovare presso altre industrie, per colmare esigenze di gusto e nutrizione che il consumatore ha voglia, o bisogno, di soddisfare qui e ora. In questo momento la parola d’ordine è ‘proteina’. E infatti quest’anno abbiamo lanciato, fra le altre cose, le fettine alto proteiche, arricchite di zinco e selenio. Poi stiamo per dare il via ai formaggini alto proteici con calcio e selenio, pensati per la fascia delle persone mature. E ancora ci sono alimenti concepiti per gli sportivi…

Canali commerciali. Quali sono i più importanti?

Come le accennavo, in prima fila, tra i clienti, ci sono le altre industrie, rifornite con semilavorati e prodotti destinati, in particolar modo, alle multinazionali del dolciario. A questo si aggiunge la clientela Gdo, che è in forte crescita, soprattutto all’estero: penso ai successi ottenuti in Francia, Germania, ma anche in Olanda, Islanda, Taiwan e tanti altri mercati… Così l’estero polarizza già il 50 per cento della nostra produzione. In volume l’Europa fa la parte del leone, ma Asia e Medio Oriente si muovono molto bene. Non a caso la nostra presenza diretta, con filiali, riguarda attualmente l’Esagono e la Cina, due nazioni che riflettono le direttrici e la ‘geografia’ del mondo Inalpi.

Oggi le parole chiave sono controllo di filiera e sostenibilità. E per voi?

Certamente anche per noi. Anzi credo che, in questo, Inalpi, stia giocando in grande stile, in quanto la collaborazione con il mondo agricolo è sempre stata ed è fondamentale, anche alla luce di un’economia che deve essere sempre più sostenibile. Per esempio, abbiamo oggi 7 stalle pilota, che rientrano nel ‘Progetto Agire’, finalizzato alla riduzione dei gas serra da allevamento. In questi siti l’alimentazione delle mucche è coadiuvata da appositi integratori, che facilitano la digestione. Il tutto è controllato dall’Università Cattolica di Piacenza.

E poi?

E poi c’è molto altro. Inalpi ha infatti raggiunto la certificazione carbon e water footprint di stabilimento. Per i consumi dell’acqua abbiamo avviato un processo di recupero e riteniamo che, il prossimo anno, si potrà raggiungere l’obiettivo zero sprechi, mentre attraverso la costruzione del ‘biodigestore’ ricicliamo il letame per trasformarlo in biogas. Sono queste le basi da cui partiamo. E sapendo, come dimostrano le evidenze scientifiche, che la maggior parte dei gas serra proviene dalle stalle, abbiamo ritenuto necessario avviare il progetto che lo ho descritto e che è aperto a tutta la filiera del latte.

Cosa ne pensa dei sostituti vegetali di latte e formaggi?

Penso che un’azienda lattiero-casearia semplicemente non li debba fare, visto che la sua vocazione è un’altra. Poi non entro nel merito, perché sicuramente ogni consumatore deve essere libero e lo deve essere anche ogni imprenditore. Semplicemente dico che non fanno per noi: sarebbe una contraddizione, difficile da spiegare al cliente finale. E poi, personalmente, ho l’impressione che, in questo modo, vengano abbandonati alimenti con un numero di lavorazioni piuttosto basso in confronto ai processi dei plant based. In ogni caso non mi sento minacciato: è un business diverso.