Centri commerciali: la pandemia vista dai direttori
Centri commerciali: la pandemia vista dai direttori
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Da sempre la figura del direttore del centro commerciale ha compiti di coordinamento fra i tenant e la proprietà, di vigilanza sulle situazioni critiche e sulla sicurezza, di scelta delle iniziative che hanno a che vedere con il divertimento e lo spettacolo, di coinvolgimento della clientela, di politica commerciale: insomma egli fa in modo che tutta la complessa macchina funzioni nel migliore dei modi e nell’interesse di tutti.
Mai come durante il periodo del Covid questa figura è balzata in primo piano. A Gaetano Graziano, deputy executive chairman di Adcc-Associazione direttori centri commerciali, abbiamo chiesto, come la pandemia abbia inciso sull’evoluzione della professione.
Gli shopping center sono stati presi particolarmente di mira dalle chiusure. E oggi?
Oggi i fatturati stanno tornando nella norma, anche se con qualche sfaldatura, il che dimostra che il consumatore rimane fedele a questo canale. Per fortuna il Decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, ha risparmiato l’obbligo della certificazione verde per i visitatori dei centri commerciali e dunque le nuove norme hanno inciso soltanto su poche attività. Parliamo degli spettacoli pubblici e manifestazioni in genere, dei cinema, dei consumi al tavolo nei bar e ristoranti, delle palestre e dei centri fitness. Tuttavia, non possiamo nemmeno dimenticare che la food court e il leisure sono poli di attrazione sempre più importanti per un moderno shopping center. Insomma, se vogliamo, il sistema di leggi, che non mi permetto di discutere, ha, in certo qual modo, riportato indietro le lancette dell’orologio del nostro settore, andando a impattare su quelle che possiamo definire le ‘attività del futuro’, anche se questo impatto è stato molto ridotto dal progresso della campagna vaccinale.
E la nuova legge?
Anche il DL 111/2021, convertito nella legge 133/2021 e in vigore a partire dal 15 ottobre, ha confermato, come è ormai noto, che non ci sono particolari restrizioni per chi fa la spesa nei negozi, anche se resta valido l’obbligo del green pass per le attività in precedenza sottoposte a questa restrizione. Diverse, come sappiamo, le norme per i nostri lavoratori, che saranno tenuti, come gli altri, a dotarsi della certificazione.
Cosa ne pensa del modello francese?
Il modello originario è molto discutibile e dico originario perché la norma è stata poi attenuata e, alla fine, abolita, anche se con qualche eccezione, a partire dal 15 settembre. Discutibile perché il criterio dell’obbligo del green pass per la clientela nei centri a partire da 20.000 mq non regge. I flussi non dipendono solo dalle dimensioni del centro, ma, soprattutto dalla location e dalla validità dell’offerta commerciale. Uno shopping center relativamente piccolo, ma moderno, in posizione urbana o prime, ha potenzialmente una densità di visitatori molto maggiore di un colosso ubicato all’estrema periferia o in provincia. Del resto, le grandi dimensioni consentono ai clienti di avere più spazio a disposizione e sono, in fondo, garanti di un maggiore distanziamento sociale. D’altro canto, non bisogna dimenticare che il centro commerciale è un’azienda a tutti gli effetti e dunque ha avuto, sin dall’inizio e in tutti i Paesi, un forte interesse specifico e maggiori mezzi nel dotarsi di tutti i necessari dispositivi di protezione, di controllo accessi, di vigilanza sui comportamenti delle persone, di mantenimento della distanza interpersonale. E tutti questi accorgimenti sono stati rigorosamente applicati e sono applicati tuttora per quanto riguarda l’affollamento e l’uso dei dispositivi di protezione individuale, come le mascherine e i disinfettanti. In uno shopping center, insomma, esistevano fin dall’inizio maggiori garanzie di sicurezza che in una grande via commerciale.
Qual è stato il vostro sforzo durante la pandemia?
Il nostro sforzo, davvero enorme, è stato di fare rispettare tutte le norme, sia quelle nazionali, sia quelle regionali e locali, a volte contradditorie, a volte di difficile o difficilissima comprensione, anche in termini di merceologie vietate e permesse e di orari. Il direttore ha dovuto capire sempre tutto in tempi rapidi e trasferire ai tenant le regole previste dal legislatore, rispondere alle domande, essere sempre presente in tutte le situazioni dubbie o critiche, reclutare e rafforzare i servizi di vigilanza, continuare a sviluppare, nonostante tutto, una politica di marketing. Del resto, la nostra associazione ha sempre insistito sulla necessità di percorsi di formazione professionale, un tema che sarà centrale anche nella nostra prossima convention nazionale, prevista a Milano il 9 novembre 2021.
Lati positivi?
Credo che il Covid sia stato, per tutti, una grande lezione, per quanto possa definirsi lezione una tragedia. Per quello che ci riguarda la pandemia ha fatto capire agli stessi direttori e ai commercianti quanto sia importante avere un direttore professionale, dinamico, capace di assumersi responsabilità e di prendere decisioni. La figura di questo manager è stata, per così dire, capita e apprezzata molto meglio, a volte persino dai consumatori che, raramente, hanno a che fare con noi. A questo punto dobbiamo andare oltre e accettare il fatto che un’emergenza, breve o lunga che sia, può, purtroppo, sempre presentarsi e che tutti dobbiamo essere preparati, a cominciare da coloro che hanno ruoli di coordinamento di uno staff, di un insieme di persone o di un’impresa. E anche su questo dovrà insistere la formazione di domani.
Quali sono le competenze richieste a un buon direttore?
Dal punto di vista scolastico, come risulta dai nostri sondaggi, il direttore è, generalmente, un laureato (60% dei casi), con un’età media fra 30 e 50 anni (il 57% sono 40-50enni), mentre il 30% va da 50 a 60 anni, con una solida cultura economica e di marketing. Ci sono poi una serie di caratteristiche che si apprendono sul campo: capacità organizzativa, capacità di comunicare con gli altri, capacità di comprendere in anticipo quello che piace alla gente. Insomma, parliamo di un manager dinamico e intraprendente, che dovrà trascorrere sempre meno tempo in ufficio e sempre più tempo nel proprio centro commerciale per captare il sentiment generale. Un mestiere non facile, ma sicuramente gratificante, visto che si tratta di coordinare un’azienda con un fatturato che va da un minimo di 70-80 milioni fino ai 500 milioni dei complessi di dimensioni maggiori.
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