Un'azienda italiana su 10 a rischio fallimento nel caso in cui l'emergenza Coronavirus non si arrestasse entro l'anno. A farne maggiormente le spese saranno tre settori chiave: il manifatturiero tessile, i trasporti e il turismo. È questo il grido d'allarme che emerge dallo studio “Impact of the Coronavirus on the italian non-financial corporates” di Cerved Rating Agency.

Le conseguenze del contagio sono già evidenti: rallentamenti nella produzione, chiusure temporanee forzate, calo dei margini.

Lo studio ha ipotizzato, per i prossimi mesi, due scenari: nel caso più favorevole - crisi sanitaria fino a metà anno – si avrebbe comunque un'eco non trascurabile sulla solidità finanziaria delle nostre aziende, già investite dalla crisi.

Nel caso più sfavorevole si delinea l'ipotesi del dilagare della pandemia, con effetti globali duraturi e deleteri per tutto il 2020.

“Entrambe le ipotesi – chiarisce lo studio - sono state applicate al portafoglio di simulazione, costituito da circa 25.000 rating emessi recentemente da Cerved Rating Agency e sufficientemente rappresentativo del comparto delle aziende italiane, tramite l'adozione di un approccio di natura quali-quantitativa. Le proiezioni riguardano, essenzialmente, le evoluzioni attese in termini di valore e costo della produzione, principali voci di bilancio per cui si prevede un calo, derivante dalla flessione dei volumi di produzione e di contrazione della domanda. Analogamente, si pronostica un peggioramento generalizzato del capitale circolante netto e un aumento dei debiti finanziari a breve. Tali ipotesi, sul comportamento atteso, possono determinare una generale involuzione delle dinamiche economico-finanziarie, che influenzerà la performance, la struttura finanziaria e l'andamento dei pagamenti”.

In altre parole, ciò che ci si attende, con impatti diversi a seconda degli scenari - soft o hard - è un graduale popolamento delle classi più rischiose, con conseguente aumento della probabilità media di default.

In base alla gravità dello scenario, e stimando, alle condizioni attuali, una probabilità di default pari al 4,9% come valore medio, si sale, nell'ipotesi soft, al 6,8% (con variazione per settore tra il 2,7 e il 10,6%), mentre nello scenario hard la probabilità di media arriva al 10,4%, con variazione, per comparto, tra il 7,5 e il 15,4.

Le imprese "a rischio" aumenterebbero dell'8%, caso soft, e, addirittura, del 26%, caso hard, con conseguenze quasi imprevedibili per il tessuto economico locale e nazionale e con inevitabili fallimenti e chiusure.

Il deterioramento di merito creditizio ipotizzato, insieme agli effetti negativi derivanti dall'innalzamento del livello complessivo di indebitamento finanziario a breve termine, sarebbe particolarmente rilevante per i settori più esposti, come il turismo e il manifatturiero, che presentano interconnessioni maggiori con la Cina, soprattutto per quanto attiene all'importazione delle materie prime.

Le stime d'impatto sulla marginalità delineano un quadro allarmante per i comparti maggiormente impattati. Addirittura, per il turismo, si prospettano livelli di marginalità negativi, nello scenario peggiore.

Nel contesto delle imprese valutate costituiscono un'eccezione gli operatori del mondo farmaceutico, sia per la produzione, sia per il commercio al dettaglio di medicinali, per i quali è ragionevole attendersi un miglioramento della marginalità e una riduzione moderata dei profili di rischio.

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