Sotto assedio fin dalle prime ordinanze sull’emergenza sanitaria i centri commerciali italiani sono oggi alle prese, come in molte altre grandi nazioni, con una serie di gravi problemi. La maggior parte dei tenant, infatti, non riesce più a tenere il passo, per via di chiusure che hanno risparmiato solo farmacie, parafarmacie, tabaccai, alimentari, edicole, elettronica. La spina dorsale, costituita da tessile-abbigliamento e food court, si è incrinata, insomma, in maniera paurosa.
In prima linea per ammortizzare le ricadute e studiare il futuro rilancio del sistema, il
Consiglio nazione dei centri commerciali non ha mai cessato, in tutte le sedi possibili, di fare sentire la propria voce, adeguandosi sempre e scrupolosamente, alle regole dettate dal legislatore, oltre che a quanto suggerito dal buon senso e dalla comunità medico-scientifica. Il Presidente, Massimo Moretti, ci parla di quello che, di fatto, è il primo vero corto circuito che il commercio moderno, nato in Italia negli anni Settanta, è chiamato ad affrontare.

Partiamo dall’attuale consistenza…

Le cifre sono note, ma vale la pena di riassumerle per capire l’importanza del nostro settore. Sono, infatti, oltre 1.200 i centri commerciali presenti sul territorio nazionale che, con i loro 36.000 negozi (di cui 7.000 a gestione unifamiliare) registrano 2 miliardi di presenze annue. Particolarmente importante il volume d’affari totale dell’industria commerciale che, con i suoi 139,1 miliardi di euro, ha un’incidenza sul Pil italiano pari al 4 per cento. Dal punto di vista occupazionale, i soli centri commerciali impiegano oltre 587.000 persone, senza considerare l’indotto.

Come avete affrontato l’emergenza?

Siamo stati i primi a intervenire, senza aspettare il legislatore. Per dimostrarlo voglio ripercorrere le tappe di questi ultimi 45 giorni, a partire dal 22 febbraio, data in cui si è avuto, a Codogno, il paziente 1. Il tam-tam mediatico ha coinvolto, da allora, anche le altre regioni, oltre alla Lombardia, con abbassamenti minori di afflussi di clientela, ma comunque significativi, in tutte le grandi aree, come il Centro e il Sud. Per motivi di responsabilità sociale il pensiero è stato di chiudere… ma tutto il sistema ha vincoli contrattuali. abbiamo dato disponibilità al Governo, che ha disposto poi la chiusura dei centri commerciali, a parte i servizi essenziali. E questo è stato un passo non banale, almeno un mese e mezzo fa, visto che abbiamo dovuto considerare le opinioni, gli interessi e le paure di tutti, consumatori compresi. Un grande sacrificio di tutta la nostra industria, sacrificio che ancora sta sostenendo, garantendo l’apertura dei centri commerciali, limitatamente ai servizi essenziali.

E le proposte?

Come presidente e come addetto ai lavori mi sono reso subito conto che bisognava aiutare i retailer. Così è stato formulato un pacchetto di agevolazioni per i commercianti: ammortizzatori sociali, detrazione del 10% del fatturato del periodo precedente - direttamente scomputabile dai versamenti fiscali obbligatori - e, per spingere il rilancio in concomitanza dei primi segnali di attenuazione della crisi sanitaria, un mese di Iva dimezzata per tutto il non food venduto nei negozi fisici, compresi quelli delle vie cittadine. Il timore era, ed è, di avere una ripresa lenta e difficoltosa, a causa del permanere delle paure collettive. Questo abbattimento, invece, consentirebbe ai retailer di lanciare iniziative promozionali o, semplicemente, di abbassare i prezzi (senza impattare sui conti economici), instaurando un clima di festa e dando vigore alle motivazioni di acquisto, cosa che permetterà anche di alleggerire il magazzino.

Quali gli obiettivi raggiunti?

Il primo, ammortizzatori sociali, è stato pienamente ottenuto, mentre si è aperta, dal 17 marzo, con il cosiddetto ‘Decreto cura Italia’, la nuova tematica degli affitti commerciali. Il governo ha accordato, a negozi e botteghe, un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione di marzo (non quello che volevamo, ma lo vediamo un punto di partenza), dimenticando però la categoria ‘D8’ e gli affitti d’azienda, ossia i centri commerciali. E così ora il fronte aperto verte proprio sulla possibilità di estendere, anche a noi, l’agevolazione fiscale. Stiamo poi operando per far sì che l’auspicato credito di imposta sia immediatamente cedibile al sistema bancario. Stiamo comunque studiando altre proposte, per sostenere i nostri retailer e tutta l’industria dei centri commerciali e outlet.

Il tema del rilancio?

È prioritario, visto che, prima o poi, speriamo prima, il mondo si rimetterà in moto e le persone ricominceranno a uscire e a fare acquisti. A questo appuntamento non possiamo presentarci impreparati, almeno se vogliamo adoperarci per una ripresa a “V”, cioè di veloce risalita, dopo la caduta.

Ma come sarà la ripresa?

Per dire come sarà, dobbiamo assumere il postulato che la situazione sanitaria migliori in modo definitivo. Ma questo esercizio mentale non è semplice, visto che tutti dovranno ritrovare la fiducia nell’altro, una fiducia che renda la vicinanza fisica qualcosa di piacevole e non, come ora, di pericoloso. Nel frattempo, dobbiamo costruire i presupposti per accelerare il processo di allontanamento della paura, una paura che oggi serve, ma che domani diventerà un ostacolo. Anzi comincio a valutare (con l’allungamento temporale della crisi) che la nostra proposta di abbattere l’Iva del 50% - per i centri commerciali la manovra varrebbe 300 milioni – sia da ampliare ulteriormente. Anche perché, se il taglio dell’imposta permettesse di dinamizzare le vendite, il gettito aumenterebbe, dimostrandosi un buon affare anche per lo Stato. E sono quasi certo che un mese di Iva zero convincerebbe anche i consumatori più recalcitranti.

I canoni di affitto verranno ridimensionati?

Le proprietà, anche in altre occasioni, come le crisi economiche del 2008 e del 2011-2013, hanno dato dimostrazione di buon senso e intelligenza. I problemi sono stati affrontati caso per caso e si sono trovate sempre soluzioni soddisfacenti. L’invito a una linea morbida, in cui le proprietà stesse siano disposte ad accettare ritardi di pagamento, almeno da parte di chi non aveva già precedenti sospesi, è ampiamente passata, anche per merito del Cncc. Molti hanno rilasciato dichiarazioni formali in questo senso. Allo stato attuale, però, fare una valutazione corretta sulla durata delle dilazioni, o sulla consistenza delle possibili riduzioni, è impossibile: quanto durerà la crisi sanitaria? Alla fine, quale sostegno economico avranno complessivamente i commercianti? Risolti questi due dubbi sarà possibile per le parti in causa - le singole proprietà e i singoli commercianti - aprire le riflessioni del caso, che variano da centro a centro e da negozio a negozio.

In tutto questo che ruolo svolge il Cncc?

Se ci riferiamo al rapporto fra tenant e proprietari noi dobbiamo, comportarci da facilitatori di dialogo, ma non possiamo schierarci, rappresentando tutta la filiera e non un singolo interesse. E questa linea è stata seguita anche dai nostri omologhi esteri. Ritengo che ogni valutazione sia poi da farsi sul campo, vagliando attentamente le capacità finanziarie di ogni marchio e ‘pesando’ ogni centro commerciale, da quelli più grandi e attrattivi, fino ai più piccoli e defilati. Ritengo, però, che nella fase odierna il tema degli affitti non sia la priorità: si tratta, innanzitutto, di sostenere i nostri retailer con soluzioni rilevanti di derivazione governativa, di riaprire i centri commerciali e programmarne il futuro, lavorando senza fare rumore, in una situazione dove il rumore è ormai la regola. Evitando conflittualità che possono solo dare beneficio ad alcuni, quelli che la cercano, ma danneggerebbero tutta l’industria. Non dimentichiamoci, infine, che le proprietà non sono banche centrali: hanno avuto tracolli in Borsa, si trovano a gestire centri che, invece di generare fatturati, generano solo costi, hanno debiti miliardari sui quali, a prescindere dai propri risultati, devono pagare interessi molto significativi, hanno imposte immobiliari e un conto economico e, come se non bastasse, sono chiamate a fronteggiare un commercio elettronico che esce ancora più forte da questa crisi. Però attenzione: le proprietà devono essere nelle condizioni di poter affrontare – adeguatamente - la fase di ripresa. Bisogna, dunque, compiere un lavoro di squadra e avere una visione d’insieme, per sostenere i centri commerciali e preservane la qualità. Il Cncc sta lavorando per sostenere pienamente la sua industria tutta e, in particolare, i propri retailer.