Apre i battenti, presso il polo fieristico milanese di Rho, Eire, Expo Italia Real Estate, che si protrae dal 5 al 7 giugno, e che rappresenta una grande occasione per fare il punto di un settore che sta accusando, inevitabilmente, segni di contrazione. I numeri della rassegna sono in ogni caso di tutto rispetto. Durante la scorsa edizione i metri quadrati occupati sono stati 35.000, gli operatori presenti 504, i visitatori più di 14.000. Si sono svolti più di un centinaio di eventi, fra convegni e seminari. Ricca l’affluenza della stampa, con 328 giornalisti accreditati.

Come si muove il mercato? In un interessante articolo pubblicato su www.italiarealestate.it, Antonio Intiglietta, presidente di Eire, fa notare che “il periodo che stiamo vivendo non è solo difficile, ma anche unico nella storia recente dell’Italia e dell’Europa. E’ una situazione che ci racconta di un modello economico basato sulla finanza, che per troppo tempo ha fissato come un unico obiettivo il profitto individuale. Purtroppo il volto e l’identità di chi ha esasperato questo sistema non sono chiari, mentre sono tangibili il depauperamento e la perdita di patrimoni economici e culturali.  L’Italia, come tanti altri Paesi europei, si è ritrovata al centro di questo terremoto. E tra i comparti in maggiore sofferenza vi è senz’altro quello del Real Estate. Le note difficoltà del sistema bancario, la stagnazione dei bilanci delle società, l’impoverimento del popolo, l’erosione della classe media, l’aria plumbea di negatività sono tutti elementi che non aiutano a vivere il presente con un atteggiamento positivo e a proiettarsi con serenità e pacatezza verso il futuro.  Tuttavia non è il momento dello sconforto, ma dell’incontro, del confronto, dell’apertura: condizioni essenziali per una ripresa. Invitiamo tutti a collaborare con noi affinché Eire diventi una risposta importante del settore del Real Estate italiano, che è vivo e vuole giocare un ruolo rilevante per la costruzione del futuro del nostro Paese”.

Secondo Johnes Lang LaSalle Italia, nel primo trimestre del 2012 il volume degli investimenti nel settore retail, a quota 70 milioni di euro, ha costituito il 16% del totale degli investimenti in immobili commerciali (440 milioni). Il risultato di questi primi tre mesi dell’anno rappresenta un consistente rallentamento rispetto all’ultimo trimestre del 2011. Anche sul piano tendenziale. Ossia rispetto al primo trimestre del 2011, lo stesso periodo di quest’anno ha visto  un cedimento delle transazioni in tutti i settori.
Bisogna però aggiungere che attualmente c’è una divaricazione, evidente, tra ristrutturazioni e nuove costruzioni. Molti punti di vendita stanno affrontando il discorso del cosiddetto “refurbishment”, in quanto parecchie strutture vivono il giro di boa dei 40 anni. E’ inoltre ben noto che il rinnovo delle grandi superfici comporta di solito un consistente innalzamento del giro di affari.

La situazione italiana, osservano gli analisi di J.L.L, è tuttavia in linea con quanto registrato in tutta Europa, in cui si è registrato un calo del 24% del volume di investimenti totali e del 65% nel solo settore retail rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

L’interesse degli investitori nel segmento high street e nelle location prime non è però venuto meno, ma c’è una maggiore cautela nell’approccio al mercato. Il rischio-paese percepito e l’incertezza derivante dal sistema normativo e fiscale attualmente in evoluzione continuano a influenzare le aspettative di prezzo degli investitori, anche per i centri con le migliori performance. Con queste aspettative i venditori saranno chiamati a confrontarsi.

Commenta Davide Dalmiglio, Head of Retail Capital Markets di Jones Lang LaSalle: "Nonostante il clima negativo che si respira attorno al mercato degli investimenti retail in Italia (non che in Europa sia così roseo), vari soggetti investitori retail specialist da anni presenti percepiscono la situazione attuale come una "finestra" interessante per assicurarsi opportunità a valori ben lontani da quelli del picco del 2007 e quasi in linea con le dinamiche di inizio 2000. Molti dei soggetti operanti in Italia da anni e alcuni newcomer ritengono che la Penisola abbia sempre fondamentali economici solidi. Per questo il Nord del Paese rimane degno di interesse, perché in linea con altre realtà europee mature. I prossimi mesi saranno cruciali per definire quale sarà il futuro prossimo del settore, soprattutto là dove si definisca lo scenario macroeconomico europeo e soprattutto si chiarisca la sorte dei Paesi più penalizzati dalla crisi".

Per quanto riguarda il settore uffici, Camilla Bastoni, Head of Research di Jones Lang LaSalle, traendo spunto dal caso di Milano, rileva: “Nel primo trimestre del 2012 quasi il 90% degli spazi assorbiti ha registrato canoni sotto i 300 euro, mentre solo l’1% ha fatto segnare canoni dai 400 euro in su.  Questo fenomeno è dovuto non solo alla percentuale rilevante di locazioni chiuse in periferia e hinterland, ma anche a un incremento di domanda per immobili di grado B, che in questo trimestre è stata pressoché pari alla domanda di immobili di grado A. A conferma di una forte attenzione degli utilizzatori verso il contenimento dei costi si segnala la tendenza, iniziata già nel 2011, di un numero significativo di utilizzatori verso la rinegoziazione dei contratti in essere. Nonostante il quadro di incertezza attuale è prevedibile un aumento della domanda nel secondo trimestre, in virtù della finalizzazione di alcune trattative in corso. Inoltre un’eventuale stabilizzazione del quadro macroeconomico italiano potrebbe portare a una ripresa della domanda di spazi per uffici già nel secondo semestre dell’anno; la previsione complessiva è comunque per un livello di assorbimento inferiore al livello del 2011 (176.000 mq).”
Va aggiunto anche che, sempre secondo la stessa fonte, in quasi tutta l’Europa sta cedendo pure l’investimento in immobili industriali.

Cushman & Wakefield, traccia dal canto suo, nel report “European Cities Monitor”,  la classifica delle mete più ambite per il mondo business. Il numero di società che ha dichiarato di voler aprire una nuova sede a Mosca, nell’arco dei prossimi 5 anni, è salito a 57 rispetto alle 47 del 2010. Londra, Parigi e Francoforte si confermano in assoluto le prime tre città europee nelle quali fare affari.
Amsterdam ha avuto un punteggio molto alto, continuando la sua ascesa alla classifica, salendo dal 6° al 4° posto. Anche Berlino ha viaggiato bene, inserendosi tra le prime cinque e guadagnando due posizioni dalla settima del 2010; parallelamente è aumentato anche il numero di manager che hanno dichiarato l’intenzione di espandere il loro business nella città. Ben 23 aziende, il doppio rispetto al 2010 (12), hanno infatti indicato Berlino come la città in cui aprire una nuova sede.

E da noi? Milano, rispetto al 2010, perde una posizione e slitta al 12° posto della classifica generale, Roma dal ventottesimo scende al 35° posto. Analizzando le classifiche stilate per singole tematiche si evince che le due città hanno in alcuni casi mantenuto la stessa posizione dell’anno scorso o hanno perso posizioni. Un dato che, puntualizza C&W, dovrebbe invitare a riflettere sulle strategie e le politiche che gli amministratori, sia a livello nazionale sia a livello locale, stanno attuando e che evidentemente non stanno aiutando a migliorare la percezione che i dirigenti delle aziende, soprattutto straniere, hanno delle due più importanti città italiane.

Insomma il monito che arriva dai dati ufficiali e dalle fonti più autorevoli, non è molto confortante e anche qui, come in parecchi altri settori, l’Italia ha bisogno di una ripresa, per non diventare inevitabilmente una periferia dell’Impero.