Agroalimentare: un campione sotto attacco

Agroalimentare: un campione sotto attacco

Agroalimentare: un campione sotto attacco

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Luca Salomone

Luci e ombre sull’agrifood italiano. Infatti, mentre, da un lato, il comparto raggiunge cifre record, dall’altro i consumi interni, in casa e fuori, sono fermi ai livelli del 2015 e la minaccia daziaria incombe.

A fare il punto ha pensato Thea (The european house Ambrosetti), in occasione della nona edizione del Forum Food&Beverage, svoltasi a Bormio il 6 e 7 giugno.

La filiera – agricoltura, industria, intermediari, distribuzione e ristorazione - ha superato i 707 miliardi di euro di giro d’affari, in crescita del 34% rispetto al 2015, garantendo lavoro a 5,8 milioni di persone.

Il dato finanziario è pari al 19,8% del Pil e questo considerando anche tutte le attività a monte (come la produzione di macchinari, o la fornitura di energia) e a valle (confezionamento, stoccaggio e altro).

Nel 2023 il settore ha generato 74 miliardi di euro di valore aggiunto diretto: 2,5 volte quello della moda.

La frammentazione diventa fragilità

Tuttavia, il comparto resta molto frammentato, un dato storico questo, con oltre 8 aziende su 10 che appartengono alla categoria delle micro imprese. L’incidenza di questo esercito, sullo stesso valore aggiunto, è del 9,9 per cento. 

Si distinguono le grandi realtà, che rappresentano solo lo 0,3% dell’intero comparto, ma che hanno una produttività di 105mila e 200 euro per addetto, un valore superiore di circa 1 volta e mezza (1,4) alla media Ue.

«La struttura aziendale incide sulla capacità di affrontare cambiamenti geopolitici, nuove regole e richieste di mercato in rapida evoluzione come quelle che stiamo attraversando – osserva, però, Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di Teha -. E nel settore food&beverage abbiamo rilevato che oggi il 36,5% delle aziende è preoccupato di sostenere l’operatività, dato in crescita di 1,4 punti percentuali sul 2024».

Fra Dop e italian sounding

Una grande valvola di sfogo sono le esportazioni, spinte anche dalle denominazioni di origine: con 891 fra Dop e Igp, l’Italia è prima in Europa.

Questo segmento ha generato 20,2 miliardi di euro di ricavi lordi nel 2023, con il vino come leader, seguito da formaggi e prodotti a base di carne.

Nel loro insieme, le produzioni certificate rappresentano il 10,8% del fatturato del settore e contribuiscono per il 19,9% alle vendite oltre confine.

Ma attualmente i dazi Usa costituiscono una minaccia e non solo per la riduzione dei flussi, ma anche per una prospettiva di incremento delle imitazioni.

L’italian sounding, secondo Thea, potrebbe aumentare, negli Stati Uniti, fino al 15% per effetto dei dazi, portandosi dagli attuali 7,5 miliardi di euro a 8,6 miliardi.

«Oltre 6 miliardi di euro di alimenti e bevande made in Italy dei 7,8 complessivi esportati negli States – continua De Molli - sono costituiti da beni che non hanno alternative sul mercato locale e perciò difficilmente sostituibili. Se questo può essere un vantaggio, quando i dazi entreranno in vigore faranno crescere le imitazioni, che oggi valgono 69 miliardi di euro nel mondo, uno in più rispetto all’export agroalimentare italiano. Ciò significa che, azzerando ipoteticamente l’italian sounding, il nostro export dovrebbe raddoppiare».

Stonano dazi e consumi interni

I nuovi dazi americani potrebbero generare una riduzione potenziale di 1,3 miliardi di euro di esportazioni food, considerando sia lo sforzo di revisione temporanea dei margini da parte delle nostre aziende, sia l’elasticità della domanda al consumo. All’interno dell’Ue, l’Italia risulta la più esposta all’effetto della politica del presidente americano, anche perché gli Stati Uniti sono, per noi, il secondo Paese acquirente di cibi e bevande, dopo la Germania (10,8 miliardi di euro).

Per la Francia il peso dei dazi sarebbe di poco superiore al miliardo di euro (1,1 mld) e ancora inferiore per la Spagna (0,7 mld) e la Germania (0,5 mld).

Tuttavia, considerando l’ampiezza dell’offerta made in Italy, la stima realizzata da Thea è di una contrazione effettiva di circa 300 milioni di euro.

Concludiamo con quale altra “nota stonata”. Nel 2024 i consumi alimentari fuori casa in Italia hanno raggiunto gli 85 miliardi di euro, rimanendo ancora sotto i livelli del 2018 (87) e 2019 (88), un risultato dovuto, in parte all’inflazione.

I dati elaborati da Teha evidenziano, del resto, che, da oltre dieci anni la spesa per il cibo, sia in casa sia fuori casa, è rimasta sostanzialmente uguale.

Le spese alimentari totali nel 2024 hanno raggiunto 234 miliardi di euro, di cui 150 miliardi dovuti agli acquisti domestici, con un massimo (157 miliardi di euro) nei due anni del Covid (2020 e 2021).

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