Il Centro studi di Unimpresa, la più rappresentativa associazione italiana di aziende per numero di associati, sorta come raggruppamento di artigiani e Pmi, lancia l’allarme. Vediamo perché.
Dalle anticipazioni di una ricerca, appena conclusa, emerge che, dal 2022 al 2025, i prezzi di tre generi alimentari, fondamentali per la dieta italiana, hanno subito un aumento molto significativo, influenzando le abitudini di consumo delle famiglie. La domanda è calata mentre tutto ciò che è conveniente o in sconto, ha fatto registrare un +11,9% di vendite.
Punte estreme a Ferrara
Cominciamo dal pane. Qui il 2022 ha rappresentato un punto di svolta: i prezzi medi sono saliti del 13-18% rispetto all’anno precedente, piazzandosi fra i 3,2 e i 4,2 euro al chilo, con punte estreme in città come Ferrara, dove si sono raggiunti i 9,8 euro al chilo.
Nel 2023 la tendenza è proseguita, con incrementi del 7-10% in città come Genova, Milano, Firenze e Torino, portando il dato medio sui 4,20 euro al chilo per il prodotto di grano tenero e sui 5,33 euro per l’integrale. Nell’arco di un anno il pane è diventato più caro del 62 per cento.
Nel 2024-2025 i prezzi si sono stabilizzati, ma senza tornare ai livelli precrisi: oggi un chilogrammo costa fra i 4,5 e i 5,5 euro, con una leggera flessione del 3-5% registrata all’inizio di quest’anno.
A pesare sono stati soprattutto l’aumento del costo del grano tenero, cresciuto dell’86% per la materia prima nazionale e del 108% per quella estera (2020-2022), insieme ai costi energetici dei forni e dei trasporti.
È interessante notare come il prezzo al dettaglio del pane sia cresciuto di 12-17 volte rispetto all’andamento del grano, suggerendo margini di profitto significativi lungo la filiera.
L’effetto dei mangimi
Latte. Qui il percorso è stato molto simile. Nel 2022 il prezzo del fresco è aumentato di circa 30 centesimi al litro in poche settimane, passando a 1,80-2 euro al litro. Alcuni derivati, come il burro, hanno visto rincari ancora più marcati, con un delta del +22% sul 2021.
Nel 2023 il latte crudo “spot” ha raggiunto i 60,80 euro per 100 chili, mentre, al dettaglio, il prezzo si è stabilizzato fra i 2 e i 2,20 euro al litro, con un incremento del 10-12% sul 2022.
Nel 2024 e all’inizio del 2025, la materia prima cruda ha toccato i 65,3 euro al quintale, portando il prezzo finale a 2,10-2,30 euro al litro, circa il 15-20% in più in confronto al 2022.
A incidere sono stati i costi dei mangimi, aumentati del 56%, e l’energia, ma anche la dipendenza italiana dall’importazione pari al 16% del consumo di latte, resa più complicata dai problemi della filiera. Inoltre, l’8% delle stalle italiane è a rischio di chiusura, il che ridurrà ulteriormente l’offerta interna.
Tutta colpa del grano duro
La pasta, simbolo della cucina italiana, non è stata da meno. Nel 2022 il suo prezzo è cresciuto del 38%, passando da 1,10 euro al chilo a 1,40-1,52 euro.
A gennaio 2022, un pacco di spaghetti della marca leader costava in media 1,64 euro al chilo, il 28% in più rispetto al 2019. Il picco è arrivato fra aprile e agosto 2023, quando il prezzo medio ha raggiunto 1,76 euro al kg, con città come Cagliari, che ha accusato massimi di 4,7 euro al chilo.
Nel 2024 i prezzi sono leggermente scesi, attestandosi a 1,62 euro/kg, ma restando comunque più alti del 23% a paragone del 2021. Le promozioni nei supermercati, con risparmi medi del 20%, e l’aumento degli acquisti nei discount, con risparmi fino al 37%, hanno aiutato i consumatori a contenere la spesa.
A spingere i rincari sono stati il costo del grano duro, salito del 70% fra il 2021 e il 2022, i costi energetici per la produzione e una dipendenza dall’importazione - soprattutto dal Canada - pari al 40% della materia prima.
In generale il periodo considerato è stato segnato da una serie di eventi, globali e nazionali, che hanno spinto al rincaro, rendendo più difficile, per molti italiani, accedere a prodotti essenziali.
Dalla guerra alle speculazioni
La guerra in Ucraina, iniziata nel febbraio 2022, ha avuto un impatto devastante, facendo schizzare i prezzi di alcune materie prime - grano, mais e olio di semi -, mentre la crisi energetica ha fatto lievitare i costi di produzione e trasporto, con il gasolio che è aumentato del 50% e l’elettricità che ha raggiunto picchi insostenibili per molte imprese.
A questo si sono aggiunte le difficoltà legate al clima, con siccità in Paesi chiave, i quali hanno ridotto i raccolti.
Non meno rilevante è stata la speculazione sui mercati agricoli, dove i contratti “futuri” hanno amplificato i rincari, spesso scollegandoli dalla reale disponibilità di materie prime.
Gli aumenti hanno avuto un impatto pesante sulle nostre famiglie. Nel 2022, il 58% di loro ha tagliato i consumi alimentari, con cali più marcati per carne e pesce, ma anche pane, latte e pasta hanno subito una flessione dell’1,2%. Quasi la metà dei consumatori ha iniziato a cercare articoli in offerta, o prossimi alla scadenza. I nuclei con reddito medio-basso sono stati, evidentemente, i più colpiti, e 4,5 milioni di persone hanno rinunciato, per esempio alle cure mediche per cause economiche.
A livello geografico, infine, si nota che i prezzi sono variati molto da città a città: Ferrara, Milano e Firenze restano le più care per il pane, mentre Napoli e Messina offrono prezzi più contenuti. Nella pasta, Cagliari e Sassari registrano i costi più alti, mentre Messina e Siracusa sono più economiche.
Guardando al futuro, i prezzi di pane, latte e pasta sembrano essersi stabilizzati nel 2025, ma non sono tornati ai livelli precedenti al 2022. La riduzione dei costi del grano duro, scesi del 15-19% nel 2024, non si è pienamente riflessa sui prezzi al dettaglio, portando a pensare che produttori e distributori stiano mantenendo margini elevati.
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