Se è vegetale non chiamatelo «latte». E neppure «panna», «burro», «formaggio». A dirlo è una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che segna un passo avanti importante in una polemica che va avanti da tempo: quella sull’uso, nei prodotti vegani, di termini che richiamano i più tradizionali e noti alimenti di derivazione animale.

Come riportato dal Corriere tutto nasce da una causa che vede coinvolta la società tedesca TofuTown, che produce e distribuisce alimenti 100% vegetali usando gli stessi nomi dei prodotti lattiero-caseari: Il Verband Sozialer Wettbewerb, un’associazione tedesca che contrasta la concorrenza sleale, prende a cuore la questione e sostiene che quelle denominazioni sono una violazione della normativa dell’Ue. Così la questione arriva alla Corte che le dà ragione. La TofuDown si difende sottolineando che nei sui alimenti le denominazioni «burro», «crema» e «latte» appaiono sempre associate a termini che chiariscono l’origine vegetale dei prodotti in questione (tipo «burro di Tofu» o «crema di riso»). Ma per la Corte queste precauzioni non sono sufficienti a non far cadere il consumatore nell’equivoco. Insomma: il latte è tale solo se proviene da un animale. E quindi merita un copyright.

Le norme di tutela sono contenute nel regolamento comunitario 1234/2007 secondo cui il termine «latte» si riferisce solo al «prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione». La corretta dicitura per identificare un prodotto «simile al latte» ma vegan - quella usata già adesso nella maggioranza dei prodotti in vendita in Italia - è pertanto «bevanda vegetale a base di...». Poche e regolamentate anche le eccezioni: per latte di mandorla e di cocco e per il burro di cacao perché si tratta di «denominazioni tradizionali».