Il contesto attuale è segnato da incertezze economiche, instabilità geopolitiche e profonde trasformazioni tecnologiche. In questo scenario, Conad ha scelto di rispondere con coesione, governance condivisa e visione di lungo periodo. Ne parliamo con il presidente Mauro Lusetti, che traccia un quadro lucido della fase che il gruppo sta vivendo e delle prospettive di sviluppo futuro.
- Presidente Lusetti, come descriverebbe il clima interno a Conad in questo momento?
- In un contesto economico così incerto, quanto conta questa ritrovata coesione?
- Tra le incognite cita anche i dazi. Quanto incide lo scenario globale su un gruppo fortemente radicato nel mercato nazionale?
- Anche la questione salariale sembra essere una bomba sociale silenziosa...
- Come si inserisce Conad in questo scenario?
- Sostenibilità che, però, deve fare i conti anche con l’efficienza e la logistica. Come si conciliano questi elementi?
- Passando allo sviluppo: siete ancora interessati ad acquisizioni dopo l'operazione Auchan?
- Qual è la strategia per continuare a crescere, pur in un mercato saturo?
- Per chiudere, che messaggio vuole lanciare rispetto al ruolo di Conad nel sistema Paese?
Presidente Lusetti, come descriverebbe il clima interno a Conad in questo momento?
Il clima è sereno. E con "sereno" non intendo dire che siamo rilassati o poco impegnati. Al contrario, siamo tutti profondamente concentrati sul raggiungimento degli obiettivi, consapevoli della complessità delle sfide che affrontiamo. Ma oggi lavoriamo in un contesto profondamente diverso rispetto al passato: il Consiglio di Amministrazione è espressione di tutte e cinque le grandi cooperative del sistema Conad. È una governance condivisa, frutto di un percorso comune, che ci permette di affrontare le attività quotidiane con maggiore efficacia e sintonia.
In un contesto economico così incerto, quanto conta questa ritrovata coesione?
Conta moltissimo. L'incertezza non è una novità, il cambiamento è costante. Ma oggi ci troviamo di fronte a sfide sistemiche: dalla transizione digitale e ambientale, all’evoluzione delle relazioni industriali. Il problema non è se avverranno dei cambiamenti, ma quando e con quale impatto si manifesteranno. Avere una struttura compatta ci dà la libertà di poter anche sbagliare — perché nessuno oggi ha in tasca la verità. E chi tra qualche anno dirà “io l’avevo detto”, probabilmente sarà stato solo fortunato.
Tra le incognite cita anche i dazi. Quanto incide lo scenario globale su un gruppo fortemente radicato nel mercato nazionale?
Molto. È vero che operiamo principalmente in Italia, ma la filiera agroalimentare italiana — da cui ci approvvigioniamo — si regge in gran parte sull'export. Se l’equilibrio internazionale si incrina, i costi di produzione e distribuzione interni rischiano di aumentare, con effetti che possono tradursi anche in nuove fiammate inflazionistiche. Servono anni per costruire nuovi mercati esteri, e nel frattempo le imprese italiane devono reggere l'urto.
Anche la questione salariale sembra essere una bomba sociale silenziosa...
Esatto. Si parla molto — e spesso in modo astratto — di salari troppo bassi. Ma aumentare i salari, incrementare la produttività e contemporaneamente innovare non è semplice. È possibile, certo, ma ha un costo sociale. Nella storia economica, ogni rivoluzione industriale ha prodotto enormi miglioramenti, ma anche grandi sofferenze. Senza un patto sociale forte tra imprese, lavoratori e istituzioni, rischiamo di andare incontro a tensioni sociali sempre più forti. Anche perché, se i consumi non crescono, il problema non è solo il potere d’acquisto, ma un sistema che fatica a tenere insieme i pezzi.
Come si inserisce Conad in questo scenario?
Noi siamo consapevoli delle nostre responsabilità, come primo operatore del mercato. E ce le assumiamo tutte: a livello imprenditoriale, commerciale, occupazionale. Abbiamo scelto di investire anche in anni difficili, e lo abbiamo fatto senza rincorrere scorciatoie. Abbiamo chiuso un piano industriale che prevedeva 1,5 miliardi di investimenti: ne abbiamo realizzati 1,7 miliardi. E nel nuovo piano, l’obiettivo supera i 2,2 miliardi, senza cambiare la nostra filosofia di fondo: investiamo sul territorio, sull’ammodernamento della rete, sulla digitalizzazione, sulla sostenibilità.
Sostenibilità che, però, deve fare i conti anche con l’efficienza e la logistica. Come si conciliano questi elementi?
Il vecchio modello di outsourcing logistico come lo conoscevamo negli anni ‘80 e ‘90 non è più sostenibile. Non solo per ragioni di efficienza, ma per una questione etica e sociale. Non possiamo accettare che la riduzione dei costi logistici passi attraverso lo sfruttamento della manodopera e la compressione dei diritti dei lavoratori. Per questo, ogni cooperativa ha fatto le sue scelte: c’è chi ha internalizzato tutto, chi è entrato nel capitale delle società logistiche. L’obiettivo comune è governare i processi, mantenere il controllo, garantire trasparenza. E tutto questo, oggi, lo facciamo con strumenti nuovi: automazione, concentrazione logistica, gestione integrata del prodotto a marchio.
Passando allo sviluppo: siete ancora interessati ad acquisizioni dopo l'operazione Auchan?
Siamo aperti alle opportunità, ma senza ansie da prestazione. Le grandi operazioni fanno notizia, ma anche le acquisizioni minori nei territori possono avere grande impatto. Il nostro sistema è solido, compatto, e abbiamo la capacità finanziaria per cogliere le occasioni giuste, quando si presentano. Non si tratta solo di aprire nuovi negozi: vogliamo presidiare territori strategici, in particolare al Nord, dove possiamo rafforzare la nostra presenza, e nel Mezzogiorno, dove abbiamo cooperative come PAC2000A, solide, patrimonializzate e capaci di sviluppo.
Qual è la strategia per continuare a crescere, pur in un mercato saturo?
Stiamo puntando sulla diversificazione. Non è detto che si debba sempre aprire un superstore: possiamo sviluppare format alternativi, come pet store, drugstore, servizi digitali. Il nostro obiettivo è sempre lo stesso: dare risposte concrete ai nostri 2.500 soci. E ogni investimento viene valutato in base alla utilità reale per loro, non solo in funzione di quote di mercato.
Per chiudere, che messaggio vuole lanciare rispetto al ruolo di Conad nel sistema Paese?
Noi intendiamo offrire ai nostri 13 milioni di clienti, e a quelli che ci auguriamo che lo diventino presto, un punto di riferimento per i loro acquisti di beni e servizi per il loro benessere e la soddisfazione dei loro bisogni, con una grande attenzione alla qualità e alla convenienza. Inoltre, ci proponiamo di interpretare il ruolo del ‘capofiliera’ con le nostre 780 imprese fornitrici di prodotto a marchio che con noi — come ha dimostrato la recente ricerca Ambrosetti — sono cresciute, hanno investito, hanno conquistato posizioni anche sui mercati internazionali. Lo hanno fatto restando radicate nei territori, senza diventare giganti dai piedi d’argilla. Noi investiamo nell’economia reale per generare occupazione, preservare il tessuto sociale e contribuire allo sviluppo del Paese. E oggi più che mai serve coraggio, coesione e visione per affrontare il futuro.