Due a Milano e due Roma. Tanto per cominciare. Ma a fare buona compagnia ai quattro Upim Pop da poco inaugurati potrebbe essercene presto un’altra ventina abbondante, sparsi un po’ in tutta Italia. La conversione dei punti vendita della catena Upim, acquisita a inizio anno dal Gruppo Coin, prosegue a ritmo serrato e fa una breve tappa alla fermata dell’innovazione nel retail e del pragmatismo.

Già, perché l’amministratore delegato Stefano Beraldo e il suo team, dopo avere pensato bene di sfruttare le migliori location e le metrature più adatte per convertire alcuni punti vendita Upim in Coin e in OVS (55 quelli già interessati al cambio dell’insegna), sembrano avere le idee molto chiare per i restanti. Oltre agli innovativi Upim Pop, vi saranno infatti gli Upim Express (il nome è quasi certo), secondo la logica del negozio di vicinato, a cui continuerà ad affiancarsi qualche decina di Upim in franchising, i più simili a quelli tradizionali, anche se molto rinnovati nel mix assortimentale.

Ma torniamo all’Upim Pop. Bisogna ammettere che rispetto a un vecchio Upim siamo su un altro pianeta. Al di là delle pur apprezzabili soluzioni grafico-architettoniche e di display interno, quello che colpisce è la varietà e la sintonia dell’offerta con quelli che sono i marchi e i prodotti più richiesti del momento: dall’abbigliamento agli accessori, dall’intimo ai prodotti per la casa (con il rilancio del marchio Croff) o alla profumeria, il consumatore è circondato dai brand che vanno per la maggiore.

A ciò si aggiungono reparti new entry rispetto alla tradizionale offerta di Upim, ciascuno “firmato” da marchi noti sulla scorta degli shop in shop. Così, per esempio, l’elettronica di consumo è appannaggio di Euronics, i libri sono corner Feltinelli, Mondadori o Arion, nel piccolo bricolage campeggia il logo di Coats cucirini o Oreca New, così come l’area dedicata alla caffetteria è a cura di Goppion Caffè, Culto o Mò Food Caffè.

Alla luce di tutto questo, la cosiddetta shopping experience ne risente fortemente in positivo. Il magazzino si presenta infatti più moderno, stimolante, calibrato nell’offerta su ciò che “va di più” e che risponde in qualche modo alle richieste del consumatore e alle tendenze del momento. «Upim Pop è un luogo, un contenitore per un cliente sempre connesso – ha spiegato Beraldo -. E’ l’idea di una piazza, di un centro commerciale di città dove il prezzo non costituisce la discriminante e nel quale vi sarà un costante rinnovamento».

La probabile maggiore marginalità dell’offerta rispetto al passato, peraltro, dovrebbe essere rafforzata anche dalla scelta di una formula commerciale inedita per Upim. Solo un terzo circa della merce in vendita è prodotta direttamente da Gruppo Coin. Un altro terzo è in conto vendita e il restante in concessione. Questo riduce sensibilmente il capitale circolante investito e aumenterà, nelle intenzioni dell’azienda veneta, la resa al metro quadro.

I risultati di vendita raggiunti dai magazzini convertiti in Coin (+70%) e in OVS (+60%) promettono bene. Certo, negli Upim Pop l’investimento per la conversione ha il suo peso (da 800mila a 1,6 milioni di euro, a seconda del punto vendita). Ma se si considera che Upim, su 430 milioni di ricavi, perdeva 10 milioni di euro fino alla fine dello scorso anno, e che sono bastati «piccoli interventi a livello di gestione, di mix assortimentale e di merchandising», per ribaltare la situazione (oltre 10 milioni di euro l’utile lordo previsto per il 2010) c’è da aspettarsi molto di buono da questo concept store.