Crisi di domanda o crisi di offerta? A esaminare alcuni indicatori economici viene il sospetto che alla recessione in atto, contribuiscano anche – forse involontariamente - le stesse aziende e gli stessi operatori economici.

Se è vero, come dice l’ultimo rapporto Istat, che la spesa familiare cresce appena dello 0,5% e che la quota di reddito destinata ad alimentari è bevande è praticamente “plafonata” intorno al 19%, è anche vero che quando le aziende e i distributori sono in grado di erogare, come vedremo, il giusto mix di qualità/prezzo vengono regolarmente premiati.

Non è un caso che soprattutto i gruppi della distribuzione organizzata abbiano praticamente sempre chiuso i propri bilanci 2010 in modo positivo, in virtù di alcuni fattori fondamentali: lo sviluppo e la capillarità della rete, la riscoperta del supermercato di prossimità, la pressione delle private label. E’ recentissimo l’annuncio, da parte di Sisa, del rilancio della linea di primi prezzi, denominata “Primo”, soprattutto attraverso un radicale restyling, sia grafico che sostanziale, dei prodotti. E lo stesso stanno facendo, o hanno fatto, i colleghi e concorrenti, impegnandosi molto sui prodotti a marchio. Anche in questo caso si tratta di offrire innovazione, che consiste in beni garantiti nella qualità e nel prezzo e in un servizio sempre più comodo (la prossimità appunto).

E ancora: le nicchie di mercato “giuste” premiano gli industriali. Prendiamo soltanto il caso dei prodotti Halal, quelli destinati all’alimentazione secondo il rito musulmano. In Italia hanno raggiunto in poco tempo un controvalore di 5 miliardi di euro, mentre nel mondo viaggiano sui 3.000 miliardi, con un tasso di crescita intorno al 20%. Il tutto grazie all’imponente aumento dei flussi migratori. Insomma ormai le imprese sono chiamate ad assumere un atteggiamento attivo, andando a scovare nuovi business e nuovi mercati. Il mercato insomma va segmentato in modo sempre più profondo e costante, alla scoperta di settori dove il profitto è assicurato.

Altro fatto importante. Durante l’ultima assemblea Upa, Utenti pubblicitari associati, svoltasi la settimana scorsa, si è affermato da ogni parte che l’investimento pubblicitario, se chiuderà il 2011 con una crescita zero, avrà già riscosso un successo. Peccato che a perdere siano i mezzi più tradizionali: radio -7,1%, tv -1,5%, quotidiani -3%. Per contro Internet ha ormai totalizzato, come veicolo di advertising, 1,13 miliardi di euro – praticamente quanto la stampa quotidiana – con un tasso evolutivo del 18%. Il tutto dimostra che quando le opportunità ci sono e sono concrete e palpabili – del resto la Rete è anche uno dei media più convenienti - gli spender sono ancora disposti a mettere mano al portafoglio.

A rafforzare il concetto di oculatezza nelle scelte è un altro documento molto recente, ovvero l’Osservatorio Non Food 2011 di Indicod-Ecr. Nelle conclusioni si trova una lezione che va meditata: “In tutti i settori del non food si è verificato un cambiamento nello stile di acquisto, almeno per la maggioranza delle famiglie. Il principale cambiamento che il pubblico ha avvertito e oggi racconta è quello di una maggiore attenzione ai prezzi e alle promozioni. In secondo luogo si procede con maggiore cautela e ponderatezza, riflettendo con maggiore attenzione sulla necessità e opportunità dell’acquisto. In terzo luogo si cercano di valorizzare maggiormente le informazioni e le competenze valutative per una scelta realmente efficace ed efficiente. In quarto luogo si sono privilegiati i punti vendita più attenti alla convenienza. Queste strategie di gestione dei processi di acquisto e di ripensamento dei comportamenti sono abbastanza trasversali”.

Torniamo al quesito di partenza: crisi di domanda o di offerta? Entrambe le cose. Un fatto è certo: oggi le imprese sono chiamate a un compito difficile: assecondare un consumatore impoverito ed esigente e mantenere livelli di qualità/prezzo/innovazione sempre più competitivi. Un vero tour de force, che è però l’unica via per uscire dalle secche.