Arriva il previsto e prevedibile bollettino di guerra dei saldi. La prima settimana chiude con una perdita secca del 15% sullo stesso periodo dello scorso anno, che già non era stata felice (fonte: Fismo-Confesercenti) e secondo il Codacons la caduta si approfondirà fino al 20% durante le prossime settimane. Perdono di più i prodotti non firmati, diluiti nella loro attrattive dalle precedenti politiche promozionali. Le scarpe e la moda giovane tengono di più dell’abbigliamento in generale. Soprattutto scema il furore da inizio svendite. Nei negozi a tirare la volata sono i clienti abituali, che fanno un po’ di scorte oppure i turisti.

La recessione impera, nonostante le autorevoli profezie di ripresa, e le famiglie sono sempre più indebitate: +36,5% negli anni solari 2011-2012 secondo Cgia Mestre. La prima decisione, ovvia, è rinunciare a ciò che è meno necessario, rispetto all’alimentare, che comunque sta accusando anch’esso una flessione del 3,4% a valore e dell’1,2% a volume nel primo quadrimestre 2013 (dati Ismea/Gfk Eurisko).

Inutile insomma chiedersi cosa è successo nel non food. Ma stupiscono comunque le misure della flessione emerse dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy|Indicod-Ecr presentato questa settimana. L’edizione 2013 si è arricchita di un approfondimento sugli “ipermercati eccellenti” realizzato da IRI e da un’analisi sull’evoluzione dei consumatori di generi non alimentari nei diversi canali d’acquisto, curata da GfK-Eurisko.

La domanda ha registrato nell’anno solare una flessione a valori correnti dell’8,7%, quasi doppia rispetto a quella dei prodotti grocery, e che vede di conseguenza assottigliare ulteriormente la propria incidenza sui consumi complessivi: era del 21% nel 2011 passa al 16% nel 2012.

Tutti i comparti hanno registrato un ripiegamento nelle vendite, anche quelli che fino all’anno precedente avevano mantenuto un certo dinamismo. Prosegue il trend negativo, iniziato nel 2008, di abbigliamento e calzature, il comparto più importante, che subisce una contrazione quasi del 5%, la peggiore degli ultimi anni.

Maggiore tenuta hanno invece registrato altri segmenti, che pur segnando saldi negativi, hanno mantenuto flessioni più modeste, senza peggiorare il trend: prodotti di ottica, cancelleria, giocattoli.

La flessione delle vendite non food nel 2012 ha avuto un impatto diverso sulle piccole superfici rispetto alla distribuzione moderna: in generale la distribuzione moderna ha risentito meno della debolezza dei consumi.

Tuttavia, rispetto al 2011 dove nella maggior parte dei casi si era registrata una crescita generalizzata del giro d’affari della distribuzione moderna, nel 2012 la situazione è molto più disomogenea, con comparti che mostrano lievi crescite e altri che segnano sensibili flessioni (edutainment e telefonia in particolare).

All’interno della distribuzione moderna le dinamiche sono poi diverse tra canali: lo sviluppo di ipermercati e supermercati continua a trovare forti difficoltà a causa della capillarità dei punti vendita specializzati e dalle politiche commerciali messe in atto dalle grandi superfici specializzate e perde quota in quasi tutti i comparti monitorati.

Anche la rete moderna specializzata, per la prima volta dopo diversi anni di crescita, si è leggermente contratta nel complesso (-0,5%), manifestando le conseguenze della sempre più aspra competizione multicanale. Particolarmente penalizzati i punti vendita focalizzati nei prodotti di elettronica.

In crescita continua, anche in Italia, il commercio online, che in diversi comparti non food è stato il principale propulsore dei consumi. Sia le aziende distributive sia quelle produttive hanno, infatti, aggiunto il web tra i propri canali di vendita e stanno registrando buone perfomance che basano il proprio modello di business sulla commercializzazione on line di beni e servizi a un prezzo molto vantaggioso.

Nel 2013 le insegne della distribuzione moderna non alimentare hanno inoltre aumentato la frequenza di aggiornamento dei contenuti su Facebook e la presenza - e soprattutto il numero di post - su Twitter: attraverso i social network infatti le aziende non solo si arricchiscono di un forte potenziale comunicativo, ma raccolgono molte informazioni fornite dai consumatori, che possono utilizzare per generare valore, migliorare la propria offerta, attivare una gestione del marketing one to one sempre più mirata e multicanale.

Il mutato paradigma di consumo e il conseguente orientamento del consumatore alla parsimonia, impongono dunque a tutte le tipologie distributive un ripensamento del proprio modello di business e della struttura dell’offerta. In una parola: la ricetta per resistere – non per riprendersi – è la multicanalità. Ma attenzione: un cerotto sulla piaga non basta. Nel mare delle dot.com nuotano pesci giganti che si chiamano Amazon, Ibs, Zalando, che adottano il reso incondizionato per 30 giorni, lo sconto come prassi abituale, le consegne gratuite.

Un breve focus sugli ipermercati. La flessione delle vendite non food nell’ipermercato è stata pari all’8% nell’ultimo anno e ha portato a un’ulteriore erosione dell’incidenza del settore sul giro d’affari complessivo del canale, come si evince dai dati IRI.

L’analisi di Sinottica, elaborata da GfK-Eurisko, dimostra inoltre come il target dell’ipermercato è sempre più accerchiato dalla forte espansione negli anni dei target serviti dalle grandi superfici specializzate non food, che hanno progressivamente “attaccato” aree di pubblico proprie dell’ipermercato, meglio rispondendo a una logica di ipersegmentazione. Ci sono tuttavia ipermercati, che, secondo l’approfondimento curato da IRI, riescono a registrare performance eccellenti nel non food, che diventa trainante rispetto alle performance complessive del punto vendita, attraverso una sapiente gestione delle leve in loro possesso: assortimenti estremamente asciutti, ma molto mirati e attività promozionali utilizzate in modo puntuale a seconda delle diverse merceologie.

Viene comunque il sospetto che il vecchio reparto bazar funzioni solo in provincia e nelle valli, dove per trovare un negozio di telefonia o di informatica si devono fare parecchi chilometri. Ma nei centri urbani e nelle loro periferie la cosa non funziona così e il reparto non alimentare è ormai un “cimiterino”: angusto, squallido, poco assortito, con pessimi layout e prodotti estremamente ordinari (specie nel vestiario e nei libri), fatti salvi i soliti onnipresenti iPhone e Samsung Galaxy.

Infatti il peso del non food sul fatturato, secondo i dati presentati durante l’evento, ha cominciato un’inarrestabile caduta libera: 32% nel 2004, 31 l’anno dopo, con un monotono conto alla rovescia che ha portato al 24% nel 2012. E non è solo il reparto a perdere di peso, ma è anche l’iper come modello. In 5 anni la rete, ovviamente facendo un bilancio tra aperture e chiusure, è salita di appena 48 unità, ossia da 401 a 449 punti di vendita, meno di 5 unità all’anno.