C’è preoccupazione, ma anche molta chiarezza, fra gli utenti pubblicitari, come dimostra il recente summit di Upa del 4 e 5 luglio.

I dati effettivamente sono terribili. A fine 2012 il mercato dovrebbe incassare una perdita del 7,5%, con punte particolarmente acute su quotidiani (-11), periodici (-13), outdoor (-15), cinema (-25). La tv è allineata con il dato generale, sul -8%, mentre qualcosina meglio fa la radio (-5). Inutile dire che, come sta accadendo ormai da anni, l’unico a crescere è il web, con +12%, che va comunque capito, interpretato, misurato e soprattutto tradotto in azioni reali e conseguenti.

Gli utenti si sono resi conto da tempo, prima ancora dei pubblicitari, che il panorama mediatico è mutato spontaneamente. Internet è il classico caso in cui la gallina è nata prima dell’uovo, in cui il fenomeno è sorto e dunque si è imposto ai grandi della politica e dell’economia.

L’onda va seguita, come ha spiegato il presidente di Upa, Lorenzo Sassoli de Bianchi, perché “già 8 milioni di consumatori affidano le loro decisioni di acquisto alle opinioni che circolano sui social network e sui blog. In un mondo in cui il cyberspazio è ormai il settimo continente, in cui si trasferiscono più bit che atomi, nessun grande editore può ignorare l’importanza del social reader e cioè di quel nuovo veicolo pubblicitario dato dalla grande quantità di utenti che condividono su Facebook articoli tratti dalla stampa professionale. E quel semplice meccanismo di condivisione è la coda lunga di una potenziale fonte di ricavi”.

Ma gli investimenti sulla rete, che sembrano avere molti pregi, hanno anche qualche stortura: occorre selezionare i punti di accesso e monitorare meglio le redemption. Le marche stanno organizzando la loro presenza sui social media ma il costo/contatto sta rivelando una dispersione superiore alle attese. “Per orientarci in questo magma in continua ebollizione servono ricerche – ha detto Sassoli de Bianchi -. Oggi il consumatore è un poliedro, cambia il suo punto di vista a seconda del luogo di osservazione. E’ sfuggevole, infedele, impegnato a comunicare in una orizzontalità senza fine. Un dato emerge con chiarezza: la tecnologia sta diventando una diversità di massa; in Italia abbiamo già 2 milioni di tablet, il doppio rispetto a soli sei mesi fa. Ma cosa ce ne facciamo della tecnologia in un Paese che perde punti di Pil nella competizione internazionale anche perché non investe nella banda larga? E’ come stare al buio in un mondo in cui tutto è illuminato. E’ purtroppo la condizione di arretratezza con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. E’ l’oscurità tecnologica, l’oscurantismo politico, il buio di una guerra che stiamo perdendo. In Italia servono almeno i famosi 800 milioni scomparsi nella penombra dei ministeri per, come minimo, portare l’Adsl a quelle 400.000 aziende che ne sono ancora sprovviste”.


Ma oggi più che mai bisogna trovare il coraggio di cambiare, anche se cambiare costa, in termini psicologici, ma soprattutto finanziari. Quella che è in atto è una sfida al limite del possibile, ma senza alcuna scelta, perché chi si ferma è perduto: la posta in gioco è alta, visto che la pubblicità attiva il 15% del nostro Pil.  A rendere funambolica l'operazione è il fatto che la crisi continua a mordere. “E’ inutile nasconderlo: per i consumi il 2012 è l’anno più difficile dal dopoguerra – ammonisce il Presidente - E’ inevitabile che la pubblicità segua questa tendenza: l’investimento segna un numero negativo indicibile, una cosa mai vista prima, un calo a due cifre”.


Detto tutto questo, cosa rimarrà agli altri media? Solo un misero due di picche? Non necessariamente: “Se la televisione vuol restare il perno centrale del gioco mediatico, deve rigenerare l’empatia, cioè il marketing dei sentimenti, evocare appartenenza e allargare il respiro universale delle sue storie. La televisione può continuare a essere il volano narrante del nostro tempo se compirà continui cambi di direzione, se dimostrerà pionierismo nei contenuti e senso dell’avventura nell’accettare la sfida del meticciato con il web”, pronostica Sassoli, aggiungendo che però serve una profonda quando immediata riforma della Rai, riforma che tuttavia non si vede nemmeno all’orizzonte.

E c’è gioco e fantasia anche per il più antico dei device, la carta stampata, c’è un marinaio curioso in ogni editore. Ci saranno sempre un editore che rischia, un direttore che organizza e dei giornalisti professionisti pieni di idee.