Il carrello della spesa è sempre più vuoto e venerdì l’Istat ha annunciato, per il mese di giugno, un rincaro dei prodotti di largo consumo, delle benzine e dei trasporti pubblici dell’1,7% su base annua, più alto del dato di maggio (+1,5%) e dell’inflazione (+1,2). A tutto questo si aggiunge la politica economica che se con una mano dà, spostando in avanti la Iva di 3 mesi, con l’altra toglie, aumentando gli acconti Irpef e Irap, cosa che certo non incoraggerà i consumi, specie se sommata ai previsti ulteriori rincari delle tariffe energetiche. Qualcuno ha parlato, probabilmente con ragione, del solito gioco delle tre carte.

Il commercio intanto soffre per vari motivi, non ultimi i vincoli legislativi e la scarsa chiarezza. Per fare il punto Ancd Conad - l'Associazione nazionale cooperative fra dettaglianti che assiste e tutela le imprese cooperative  grandi e piccole, operanti nel settore della distribuzione commerciale  –  ha presentato recentemente la IX edizione del Rapporto sulla legislazione commerciale, che si presenta come una prima analisi sugli effetti derivanti dalla riforma del titolo V della Costituzione che, a 11 anni dalla precedente revisione (legge costituzionale 18 ottobre 2001) ha attribuito alle Regioni alcune competenze in determinati settori economici, tra cui il commercio.

Da almeno dieci anni, le normative regionali non registrano però, secondo questa fonte, cambiamenti che aprano a una reale concorrenza e siano di incentivo allo sviluppo del settore. Persistono anacronistiche barriere – spiega il rapporto - che, di fatto, ostacolano l'ingresso di nuovi operatori e limitano i benefici per i cittadini. E' il caso del sistema distributivo dei carburanti: la Corte di Giustizia dell'Unione europea si è pronunciata per l'eliminazione dei vincoli, eppure ancora oggi il settore non risulta concorrenziale, come ha sottolineato di recente anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Una tale scelta conservativa ha di fatto impedito – secondo Ancd - la modernizzazione di interi settori economici, con il risultato che i cittadini non possono usufruire di servizi più efficienti e meno costosi. "E' doveroso interrogarsi sugli effetti che certe scelte in campo legislativo possono produrre nel sistema economico del Paese - fa notare il segretario generale di Ancd Conad, Sergio Imolesi - e sperare che il governo e i partiti sappiano mettere a punto le risposte più adeguate alle necessità di questo difficile periodo e, più in generale, a un quadro economico nazionale e internazionale che è cambiato in modo radicale".

Per recuperare lo spirito della riforma Bersani, il Rapporto presenta alcune proposte rivolte al legislatore. Proposte che spaziano dall'eliminazione dei vincoli nei nuovi mercati di interesse per la distribuzione commerciale al contrastare programmazioni che selezionino l'offerta, dalla necessità di una normativa settoriale uniforme in tutto il Paese, alla revisione del ruolo e delle funzioni di Comuni e Provincie. Ma anche proposte per ripristinare le soglie dimensionali dei punti di vendita definite dalla riforma Bersani e semplificare le procedure che autorizzano l'insediamento di medie e grandi strutture della moderna distribuzione. "Raggiungere tali obiettivi - puntualizza Imolesi - permetterebbe al Paese di innovare e migliorare la propria efficienza, condizioni indispensabili anche per la modernizzazione e la crescita del commercio".

A questo punto di vista, decisamente liberal, si oppone la moratoria congedata dalla Regione Lombardia in fatto di centri commerciali, che salva solo le opere legate a Expo 2015. Della norma voluta da Roberto Maroni, con l’appoggio del M5S, si è data finora una lettura soltanto politica, ossia di volersi accaparrare le simpatie e il sostegno dei piccoli commercianti, rovinati dalla gdo. Ma siccome tale rovina, del resto dovuta alle regole del libero mercato, sembra quasi arrivata all’epilogo, dopo anni di agonia, a cosa servirebbe la cosiddetta moratoria, peraltro di un semestre soltanto? Oppure sono possibili proroghe e condoni?

In ogni caso quasi nessuno si è sforzato di dare un senso amministrativo alle decisioni di Maroni e dell’organo da lui presieduto. E questo non per volere vedere a tutti i costi il bicchiere mezzo pieno, ma soltanto perché va fatto per amore di onestà. Bisogna comprendere se questi 6 mesi non serviranno magari a fare chiarezza, a capire quali e quante richieste hanno un senso, hanno un reale potenziale, hanno le carte in regola per trasformarsi in un business durevole per imprenditori e lavoratori (un centro commerciale che apre è un dramma per i piccoli negozi, ma uno che chiude per troppa concorrenza è un dramma per chi ci lavora), o se la sospensiva costituisce invece solo un pericoloso precedente per affermare con arroganza la volontà da parte delle Regioni di controllare il mercato. Perché in tal caso bisognerebbe anche porsi la domanda di rito: chi controlla i controllori?

Di fatto, piaccia o non piaccia alla gdo, ci sono oggi in Italia città praticamente colonizzate dalle grandi superfici. Lasciamo stare l’infelice Catania, dove ogni buco è stato cementificato da imprenditori delinquenti che si sono avvalsi dello strapotere della Mafia negli appalti, ma pensiamo semplicemente a certe provincie dell’Emilia Romagna, dove le varie insegne si contendono i bacini di utenza in un gioco al massacro.

Speriamo che a questo abbia pensato Maroni: a fermare la macchina con l’intento di razionalizzare un panorama selvaggio. Come speriamo che questo, e solo questo, sia lo spirito dell’annunciata e molto simile moratoria della Regione Campania, di cui si è parlato a fine maggio e sulla quale è poi sceso un inquietante silenzio.