Mentre in sala le luci si riaccendono e termina la lunga esposizione delle cifre del nostro disastro economico, Vincenzo Tassinari, presidente di Coop, prende la parola: “Leggo che il nostro premier e il ministro Passera vedono delle luci in fondo al tunnel. Ma io, personalmente, non le vedo affatto”. Dall’uditorio un bello spirito commenta: “Sono luci di un treno che ci sta venendo addosso”. Il collega giornalista che ha fatto la battuta ha colto nel segno, perché i dati dello sfascio, così come emergono dal Rapporto 2012 su “Consumi e distribuzione”, sebbene in fondo già presenti a tutti gli italiani ancora in possesso delle proprie facoltà mentali, fanno paura e non lasciano scampo a ottimismi da parata, come quelli di berlusconiana memoria: “Questo non è un Paese in crisi. La gente vuole divertirsi, i locali e i ristoranti sono pieni, le persone entrano nei negozi”, dichiarava agli sgoccioli del suo mandato il Silvione-guascone nazionale a frittata ormai fatta e strafatta, anche dai suoi predecessori, prima e dopo Tangentopoli, una manovra di per sé sacrosanta, ma che purtroppo ha illuso molti che bastasse semplicemente mettere in galera quattro delinquenti-eccellenti per chiudere la partita anche con le conseguenze del loro comportamento criminale e persino con uno stuolo di allievi ormai ammaestrati al ladrocinio e alla truffa.

Enrico Migliavacca, vicepresidente vicario di Ancc-Coop, spiega che “il 2012 rappresenta per le famiglie italiane un momento difficilissimo, il peggiore dal dopoguerra e il quadro purtroppo non sembra destinato a mutare. Almeno a breve. Se è vero infatti che l’impatto complessivo delle manovre varate a distanza ravvicinata dal Governo tecnico di Monti e dal suo precedente, in maniera diretta e indiretta, già squilibra in senso negativo i conti delle famiglie, sfiorando i 3.000 euro, è altrettanto vero che ancora nel 2014 l’ondata complessiva delle manovre raggiungerà il tetto di 4.000 euro a famiglia. La stretta fiscale da un lato e la recessione dall’altro rappresentano un binomio micidiale per far quadrare i bilanci e di conseguenza non si può ipotizzare una ripresa della capacità di spesa prima del 2014. In Italia non c’è molto da ridere come del resto in tutta Europa (dove lo scenario di crisi oramai sfiora anche la solida Germania), ma da noi sicuramente si soffre di più”.

I livelli di risparmio flettono, i tre quarti degli italiani dichiarano di non riuscire più a tirare la fine del mese, un quarto deve fare debiti per tenere botta al velenoso cocktail di redditi sdruciti, per oltre il 50% dalle tasse, di figli grandi che non trovano lavoro (la disoccupazione giovanile è sopra il 30%), di utenze energetiche che salgono, di benzine impazzite, di prezzi che vengono a stento tenuti a bada da una parte della distribuzione (mica tutta, come ogni tanto ci raccontano) che, pur rinunciando a una larga parte dei margini, non potrà più di tanto reggere alle pressioni dell’enorme bolletta logistica, gonfiata dai carburanti, delle materie prime che non smettono di correre verso l’alto, per via della debolezza dell’euro, da un lato, del rincaro del greggio dall’altro e delle vendite latitanti.

L’Italia, con il suo sentiment decisamente negativo, persino peggiore di quello di Paesi anche più poveri e più a rischio – incalza Migliavacca – è sempre spaccata a metà: i divari sociali, ma anche di genere, di età, territoriali si acuiscono. Ed è anche per questo un Paese in difficoltà se è vero che le disuguaglianze, i privilegi e le posizioni di rendita costituiscono freni per la ripartenza. Un decimo degli italiani detiene quasi metà della ricchezza del Paese (esattamente il 46% pari a circa 8 volte il reddito disponibile) e convive con il 30% più povero che si accontenta dell’1% della ricchezza netta totale. E il Sud si distacca sempre più dal Nord. Nel Meridione sono basso spendenti 4 famiglie su 10 e, spostandosi lungo lo Stivale, la spesa media fa registrare uno scarto di circa il 20% tra nord e centro per raggiungere il picco del 33% fra nord e sud e isole (in termini monetari la spesa media sfiora i 2.500 euro al mese al nord e arriva a fatica ai 1.600 al sud)”. Insomma, per parafrasare Corman Mccarthy “non è un Paese per giovani” e nemmeno per meridionali.

Al contrario però, fra le pareti domestiche, dove i nostri connazionali si sono rintanati – dando un colpo micidiale a cinema, locali e ristorazione – pulsano gli schermi piatti e le smart tv comprate in tempi migliori e la gente si sente giovane, almeno fino ai 47 anni e cerca di bersi la favola bella che il sistema degli audiovisivi ci dispensa tutte le sere. Ma quelli più tecno balzano su Internet, dove la faccenda cambia e dove, persino sul più sterilizzato dei social network, spunta di quando in quando, tra un “mi piace”, un “tesoro mio”, un “cosa ho cucinato stasera”, un “come è intelligente il mio gatto” (ma chissenefrega, verrebbe da commentare) qualche segno della “caduta degli dei”.

E di giorno? Di giorno l’italiano medio si trasforma in un vero “scienziato della spesa”, come lo definisce con la sua amara bonomia romagnola il presidente Tassinari. Si architetta il giusto mix di prodotti e di canali – nel 2011 con questo zapping si è risparmiato a gran totale 1 milione di euro -, si va spessissimo al superstore, una tipologia che fa aggio addirittura sul discount, che si riteneva inossidabile, e si cercano i prodotti in offerta e le private label, si rinuncia all’auto, sia a comprarla che ad usarla, si tagliano i beni durevoli e persino i tecnologici entrano in grave recessione, si compra meno abbigliamento. Il tutto per pagare mutui, crediti personali e utenze – gas e luce – che rincarano. I consumi divengono sempre più immateriali e oramai il 52% della spesa si concentra sui servizi e non sui beni fisici (servizi peraltro quasi sempre obbligati). I prodotti alimentari pesano solo per il 14% del totale della spesa e ancora peggio sta il non-food che si assottiglia di oltre il 7%. E intanto la casa comprata a caro prezzo si svaluta, il mercato immobiliare si ingessa e la autorità-vampiro invece di premiare chi ha il coraggio di acquistarsi quattro mura, rispolvera la vecchia Ici, cambiandone il marchio di fabbrica in Imu, ma non la sostanziale vigliaccheria.

Peraltro, oggi le strategie di risparmio, come il fare la spesa più frequentemente per non creare troppe riserve, il ricorso alla privale label e alla promozione non bastano più. Si è raschiato il fondo del barile ed è arrivato il tempo della rinuncia vera e propria tanto che, per la prima volta, si assiste a una contrazione reale degli acquisti (-1,4% a volume nella gdo nei primi sei mesi del 2012).

Nelle grandi difficoltà di Fabbrica Italia tengono i livelli produttivi della filiera alimentare. Se infatti molte componenti della manifattura hanno visto decrescere con la crisi i livelli produttivi di valori anche molto  superiori al 20% (auto -34%, arredamento -27% abbigliamento -23% per citarne alcuni), l’industria alimentare ha avuto una riduzione del 3,5% e l’agricoltura nel 2011 si mantiene su livelli pressoché simili a quelli del 2007 (-1%) e addirittura superiori a quelli del 2010, anche se i conti delle siccità prima, e del maltempo poi, sono ancora tutti da fare.

Alla tenuta dei livelli produttivi si sommano i buoni risultati di bilancio dell’industria alimentare. L’Ebit si posiziona sui livelli medi europei e cresce dal 4,3% del 2007 al 4,6% del 2011. Un livello più che doppio rispetto al dato della distribuzione al dettaglio (3,1% nel 2007 e 2,4% nel 2011) rimasta schiacciata tra gli incrementi di prezzo dell’industria e le difficoltà del consumatore finale. Dal 2008 al 2012 i prezzi industriali in Italia sono cresciuti del 6,5% in più rispetto a quelli al consumo. Questo dice Coop: ma quante aziende hanno dovuto chiudere o cedere al capitale straniero? Quante aspettano ancora da Equitalia crediti Iva che a volte sono addirttura pari al fatturato?

Comunque lo sviluppo della gdo rallenta (+0,9% le superfici nel primo semestre) e non è escluso che a fine anno il settore non sperimenti la prima riduzione dell’area di vendita della sua storia. Peraltro, al fianco delle ancora numerose aperture (soprattutto di discount e superstore) sono sempre più in crescita la chiusure (soprattutto i pdv sotto gli 800 mq) e le ristrutturazioni.

E intanto si aspetta la nuova mazzata inflativa di fine 2012, quando l’indice salirà oltre il 4% e alleggerirà il portafoglio di ogni famiglia di ben altri 400 euro.

Come se ne esce? Tassinari ha una propria ricetta di sapore quasi nordico, basata sul dovere, sull’alleanza, sul senso civico e lo spirito di collaborazione. Ma non vogliamo citarci addosso, come dice Woody Allen. Chi vuole guardi la videointervista sul nostro sito, nella sezione TGDO.