Mentre oggi, domenica 12 maggio, Zoomark 2013, il salone bolognese dei prodotti e delle attrezzature per animali da compagnia, si avvia a chiudere i battenti con la sua ultima giornata, si pongono parecchi interrogativi sull’andamento del mercato, che nel passato recente ha attraversato quasi indenne la crisi.

L’ultimo rapporto Assalco–Zoomark uscito proprio in questa occasione risponde a qualsiasi curiosità e conferma che nel 2012 il settore ha tenuto. Il principale segmento, quello degli alimenti per cani e gatti, mostra una crescita a valore del 2,1%, per un totale di 1.735,5 milioni di euro di fatturato, di cui 932,2 milioni di alimenti per gatti e 703,4 per cani, a cui vanno ad aggiungersi 99,9 milioni di snack funzionali e fuoripasto, categoria quasi interamente dedicata al cane. In lieve calo i volumi, dello 0,8%, per un totale di 549.600 tonnellate commercializzate.

Le dinamiche sono influenzate da variazioni dei comportamenti d’acquisto come il graduale passaggio dai formati medi ai formati monoporzione, più cari in proporzione rispetto alle confezioni grandi, e dalla crescente diffusione di animali di piccola/media taglia, che portano a un fisiologico calo dei volumi per effetto della riduzione degli sprechi, facilitata dai monodose, e dal minor consumo giornaliero dei cani di razza piccola.

Il mercato tiene a valore per la sempre più diffusa attenzione alla salute dei propri animali, e alla tendenza di molti proprietari a privilegiare alimenti di elevata qualità, i cosiddetti premium e superpremium, valorizzando gli acquisti nell’ottica del benessere del proprio animale.

Sul fronte dei comportamenti si osserva una sovrapposizione di canali, al pari di quanto accade per altre categorie del largo consumo confezionato, con un cliente finale che abbina più punti vendita tra grocery e negozi.

In ogni caso il petshop tradizionale per il terzo anno consecutivo mostra una flessione dei volumi (-3,9%) e, per la prima volta, una tenuta dei valori (-0,2%), il grocery continua ad aumentare il proprio fatturato (+2,5%), sebbene mostri dinamiche di poco negative a volume (-0,5%). Nel grocery, che comprende anche i negozi tradizionali, è la gdo a farla da padrona con il 55% dei volumi.

La grande scoperta si chiama private label. Nel rapporto si legge che “se le marche private continuano a guadagnare quote di mercato, giungendo a coprire, nel 2011, il 17,5% del fatturato del largo consumo confezionato, nel mercato degli alimenti per cane e gatto la quota a valore delle pl supera ampiamente questa media attestandosi sul 30%. Il dato italiano, sebbene ancora lontano dal dato di penetrazione del resto d’Europa, è in crescita costante, con un +5,5% del 2012 sul 2011, per un totale stimato di circa 9,3 miliardi di euro. Se in passato i prodotti della marca commerciale venivano percepiti come di qualità inferiore rispetto a quelli della marca industriale, oggi il consumatore ne apprezza il buon rapporto qualità-prezzo garantito dall’Insegna, che sempre più spesso utilizza i propri prodotti  come strumento di comunicazione, per costruire fiducia e consolidare la fedeltà del cliente”.

La private label sul totale delle merceologie e dei segmenti cresce in media del 5,5% sul largo consumo confezionato, ma analizzando nel dettaglio i dati disponibili vediamo che e il segmento premium a registrare le migliori performance, con una crescita del 14,7%, arrivando a coprire una quota del 4,9% sul totale dei prodotti a marca commerciale. Bene anche le pl biologiche, che salgono del 2,9%. Nel petfood le pl raggiungono il 47,5% dei volumi e il 30% del fatturato (ipermercati+ supermercati+ lsp+ negozi tradizionali + discount) e mostrano dinamiche positive (+1,2 a volume a +3,5 a valore).

Un fenomeno interessante è rappresentato anche dalle catene di petshop, che registrano crescite del 12,4% a valore e del 12,3% a volume rispetto all’anno precedente, mostrando le potenzialità di questo canale attualmente in fase di forte sviluppo in Italia, anche grazie all’entrata di un competitor molto forte come il colosso tedesco Maxizoo, attualmente attestato su una trentina di punti di vendita, ma con un target di 100 entro il 2015.

Le catene, più ancora dei petshop indipendenti, approfondiscono concetti come il servizio, toelettatura, cure veterinarie, addestramento degli animali ecc., e l'assortimento. Si pensi soltanto che mentre il negozio di animali conta, nel solo food, quasi 1.165 referenze, l’iper viaggia sulle 448 e il super sulle 199. Inoltre il negozio specializzato, soprattutto se consideriamo le catene, copre un frastagliatissimo universo di articoli non alimentari. La proposta commerciale comprende anche le novità più particolari, come la birra per cani, il che può fare sorridere ma rappresenta un indicatore di una politica orientata alla piena soddisfazione della clientela.

Chiudiamo con qualche dato sulla presenza degli animali da compagna in Italia: secondo il Rapporto Eurispes oltre il 55% degli italiani vive con un animale. In prevalenza si tratta di cani e gatti (rispettivamente 55% e 49%), ma sono diffusi anche pesci, uccellini, roditori e altri piccoli animali. Euromonitor stima una popolazione animale in Italia di circa 7 milioni di cani e 7 milioni e mezzo di gatti, a cui si aggiungono 1,8 milioni di piccoli mammiferi, come conigli e roditori, quasi 1,4 milioni di rettili, come tartarughe, iguane e serpenti, e ben 13 milioni di uccellini e 30 di pesci.

Secondo Gfk Eurisko esiste una plebiscitaria condivisione del valore degli animali da compagnia, da parte non solo di chi ne possiede, ma anche della totalità dell’opinione pubblica. Più del 90% dei proprietari e più dell’80% della collettività attribuisce benefici reali alla presenza degli animali da compagnia.

I risultati sono particolarmente significativi se consideriamo ciò che la «gente» pensa dei cani e dei gatti domestici, indipendentemente dall’esserne proprietari: «i cani e i gatti aiutano a stare meglio», 84%; «danno molto, senza nulla chiedere in cambio», 81%; «tengono davvero compagnia», 80%; «sono veri e propri componenti della famiglia», 70%; «sono di grande aiuto nei momenti difficili», 65 per cento.

Insomma, conclude Eurisko,  i pet e i costi a loro collegati vengono vissuti come un’area di «spesa-investimento», verso la quale si è poco disposti a rinunce, nonostante i climi freddi di consumo.