“Illustrissimo Primo Ministro, siamo 35.000 aziende industriali del largo consumo e della moderna distribuzione riunite in Indicod-Ecr. Ogni giorno produciamo e distribuiamo beni di consumo. Diamo lavoro a oltre 1 milione di persone. Siamo un’importante realtà nella nostra economia e ci permettiamo di proporle 4 aree prioritarie di intervento per assicurare il rilancio dei consumi nel nostro Paese. Rilancio dei consumi come premessa indispensabile per la ripartenza dell’Italia sulla via della crescita. Evitare ogni ulteriore aumento dell’Iva. Riprendere con decisione il cammino delle liberalizzazioni. Sostenere i consumi delle famiglie meno abbienti. Promuovere un trasporto merci più efficiente e più sostenibile. Su questi 4 punti, che auspichiamo veder affrontati nei primi 100 giorni dal nuovo Governo, abbiamo molte idee che vorremmo mettere a disposizione del Paese attraverso i nostri manager e i nostri organismi di rappresentanza”: firmato Indicod-Ecr.

A una settimana dalle elezioni la cosa fa pensare, come dovrebbero fare pensare gli effimeri trionfi di Beppe Grillo su cui i partiti vomitano insulti gratuiti senza però analizzare il fenomeno che rivela il sentimento di esasperazione della piccola borghesia.

Torniamo in argomento. Il sistema del largo consumo ha formulato una serie di proposte che non vengono tanto dalla teoria economica, ma soprattutto dalla pratica quotidiana di chi fa impresa. Valerio Di Natale, presidente di GS1 Italy Indicod-Ecr nonché numero uno di Kraft Foods in Italia, spiega: «Le nostre imprese ogni giorno producono e distribuiscono beni di consumo. Diamo lavoro a oltre 1 milione di persone, siamo una importante realtà della nostra economia e siamo in contatto quotidiano con i cittadini-consumatori e attraverso i loro comportamenti, ne conosciamo le crescenti difficoltà. Il reddito disponibile pro-capite in termini reali è tornato indietro alla metà degli anni Ottanta. Anche per il 2013 i fondamentali del consumo rimangono deboli. Per queste ragioni siamo convinti che si debbano mettere in atto politiche che favoriscano il rilancio della domanda interna».

Il documento presentato il 14 febbraio, denominato “Agenda del largo consumo”, prende le mosse dalla constatazione che l’Italia ha già realizzato un enorme sforzo di correzione dei conti e che adesso bisogna far ripartire la crescita. Quattro le aree prioritarie di intervento proposte: rinunciare a riforme fiscali basate su ulteriori aumenti dell’Iva che aumentano a loro volta l’inflazione, riducono i consumi e peggiorano la distribuzione del reddito a svantaggio dei ceti sociali più deboli; riprendere un deciso piano di liberalizzazioni attraverso lo smantellamento di posizioni dominanti o di oligopolio e creando i presupposti per una maggiore concorrenza di mercato a tutto vantaggio dei cittadini consumatori; istituire un serio programma di sostegno ai consumi delle famiglie meno abbienti; promuovere un trasporto merci più efficiente e più sostenibile.

Secondo le stime di Ref Ricerche, il passaggio dal 21% al 22% delle aliquote Iva produrrebbero una riduzione del Pil dello 0,1%, che corrisponde a circa 2 miliardi di euro.
Ulteriori aumenti dell’Iva rischiano di far salire l’inflazione già minacciata dagli aumenti delle materie prime che gravano su molti beni di largo consumo e di deprimere ancor di più i consumi, che invece avrebbero bisogno di essere incentivati. Beni tradizionalmente anelastici come gli alimentari e i prodotti di prima necessità, in periodi di crisi hanno dato segnali di incremento dell’elasticità dei prezzi; un incremento dell’Iva su questi prodotti inasprirebbe ulteriormente questa tendenza, colpendo soprattutto le fasce della popolazione meno abbienti, per le quali l’incidenza sul reddito della spesa di beni di largo consumo è maggiore.

Nonostante i fattori sopraelencati, attraverso i meccanismi della libera contrattazione e della concorrenza, la filiera del largo consumo riesce a valorizzare la qualità e garantire la convenienza. Ne deriva che l’inflazione per i prodotti del largo consumo è costantemente al di sotto dell’inflazione media del Paese (a dicembre 2012 rispetto a dicembre 2011, i prezzi dei prodotti confezionati di largo consumo venduti negli ipermercati e nei supermercati hanno registrato un +0,7%, a differenza dell’indice generale dei prezzi che è salito del 2,3%).

Liberalizzazioni: «L’erosione del potere d’acquisto delle famiglie passa anche attraverso i prezzi delle cosiddette spese obbligate, di quelle dei molti settori ancora al riparo dalla concorrenza e di quella dei prodotti a elevata incidenza fiscale», spiega ancora Valerio Di Natale. Tra il 2009 e il 2012, ad esempio, i prezzi di alcune spese obbligate come abitazione, acqua, elettricità combustibili sono cresciuti del 14,1%, quelli dei prodotti a elevata incidenza fiscale sono aumentati del 28,2% a fronte di un aumento del 5,6% dei prodotti di largo consumo e del 7,5% per la media dei prezzi al consumo.
A una nuova fase di liberalizzazioni dei settori protetti si assocerebbe un tasso di crescita del Pil più elevato, una maggiore domanda di lavoro, una riduzione della disoccupazione. La modernizzazione del Paese conseguita attraverso un completamento dei processi di apertura al mercato di numerosi settori produttivi porterebbe significativi vantaggi per le famiglie italiane.
In un precedente studio realizzato con Cermes Bocconi, si è stimato che le liberalizzazioni dei mercati della distribuzione alimentare, dei carburanti e dei farmaci, così come delle banche e delle assicurazioni, varrebbero 22,7 miliardi di euro (pari al 2,5% dei consumi delle famiglie).

Famiglie non abbienti. La privazione e l’esclusione sociale sono in crescita: 8 milioni di persone non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (12%), 17 milioni di persone sono a rischio di povertà o esclusione sociale (28%), 25 milioni di persone non possono sostenere una spesa imprevista di 800 euro (39%). L’emergenza è arrivata dentro la classe media.
Proponiamo – sostengono i membri di Ecr - di introdurre una forma di sostegno specifico ai consumi di beni di largo consumo per le famiglie a basso reddito. Si tratta di una leva ampiamente sperimentata negli Stati Uniti (programma Food stamps), dove grazie a questo intervento a 21 milioni di famiglie (pari al 15% della popolazione) è stato possibile offrire un sostegno diretto all’acquisto di beni di prima necessità.

Trasporti ed efficienza logistica. Lo studio “Intermodability : il settore del largo consumo e la sfida del trasporto ferroviario” realizzato per Indicod-Ecr dal Politecnico di Milano e dalla Liuc-Università Carlo Cattaneo ha stimato una domanda potenziale per il settore del largo consumo di 450.000 unità di carico che, attraverso la rete ferroviaria che connette il sistema nazionale degli interporti, potrebbero viaggiare non più su strada ma su ferrovia.
«L’efficienza del sistema Italia passa attraverso la movimentazione delle merci e il loro trasporto, che continua ad essere prevalentemente su gomma (per il largo consumo il 95%) e quindi più costoso e meno sostenibile che altrove. Anche in questo ambito il nostro Paese sconta un divario competitivo con gli altri Paesi europei che non è più sostenibile dal nostro sistema di imprese. La filiera del largo consumo si sta attrezzando per poter cogliere l’intera potenzialità del settore che è di trasferire su treno fino al 30% delle merci trasportate. Da parte nostra ci concentriamo su progetti che riducono le inefficienze, benché molte di queste siano ancora determinate da gravi carenze infrastrutturali.
Occorre una pianificazione nazionale centralizzata che indichi e favorisca investimenti in infrastrutture strategiche generando così ritorni economici in termini di tempi e di costi e al tempo stesso ripercussioni significative sul versante della sostenibilità: spostare come è possibile 450.000 camion dalla strada alla rotaia significa abbattere mediamente in un anno del 55% le emissioni di anidride carbonica», conclude Vincenzo Tassinari.