Peggio, molto peggio di come sia andata nel comparto alimentare. Le vendite dei prodotti non food, nel 2009, hanno registrato una sensibile flessione. Lo aveva già reso noto l’Istat, che stimava nell’ordine del 6,2% la contrazione del giro d’affari nei consumi di prodotti non alimentari. Lo confermano ora anche i risultati dell’Osservatorio Non Food di Indicod-Ecr, l’associazione italiana non profit che raggruppa 35mila aziende industriali e distributive del settore dei beni di consumo.

L’indagine, giunta alla sua ottava edizione, ha infatti evidenziato un trend riflessivo del 4,1% nei mercati presi in esame. Un  calo quasi il doppio rispetto a quello dei consumi alimentari del 2009 (-2,2%). Di fatto, sommando l’arretramento che già era avvenuto nel 2008, gli effetti sul comparto non food hanno spinto i livelli di consumo addirittura sotto al livello raggiunto nel 2005: praticamente cinque anni andati in fumo. Analizzando nel dettaglio l’andamento dei vari settori rilevati nello studio di Indicod-Ecr, tuttavia, emergono trend contrastati.

Ad accusare maggiormente la crisi sono state le vendite di casalinghi (-10,7%), di prodotti di cancelleria, (-10,3%) i mobili e l’arredamento (-10,3%), l’edutainment (-9,5%) e l’elettronica di consumo (-5%). Anche il settore del bricolage – che rappresenta uno dei principali mercati non food, con un fatturato di quasi 11 miliardi di euro e un peso del 10,3% sul giro d’affari complessivo del comparto non alimentare – ha dovuto arrendersi all’evidenza della sfavorevole congiuntura economica facendo segnare per la prima volta una variazione negativa nelle vendite pari a 4,4 punti percentuali. Più contenute le perdite di abbigliamento e calzature (-1,7%) e di prodotti di ottica (-0,8%). In controtendenza sono risultati invece i farmaci da banco (+3,6%), i giocattoli (+2,9%), gli articoli per lo sport (+1%), la profumeria e il tessile (entrambi a +0.6%).

L’Osservatorio Non Food di Indicod-Ecr ha analizzato anche le preferenze dei consumatori rispetto ai vari canali di vendita: il negozio, l’ipermercato e le cosiddette GSS (Grandi Superfici Specializzate). Su questo fronte non emergono evidenze significative. Risulta infatti che il 56% frequenta almeno ogni tanto il negozio che è più specializzato, professionale e “familiare”, il 53% sceglie l’iper per la maggiore convenienza e l’ampiezza dell’assortimento e il 54% le GSS, a cui vengono riconosciute le prestazioni migliori: vastità dell’assortimento innanzitutto, ma anche specializzazione, vocazione professionale, presenza di servizi aggiuntivi, convenienza ecc. L’expertise, in particolare, risulta il fattore che più si correla con l’intenzione di visita (intesa come desiderabilità dei canali), seguita dalla specializzazione tecnica e dall’economicità dell’offerta.

Ben più interessante è una tendenza che emerge dall’indagine relativamente alle dinamiche di canalizzazione distributiva. Tendenza che appare tanto più significativa per l’ampiezza del campione che sta alla base dello studio. L’edizione 2010 dell’Osservatorio Non Food ha preso infatti in considerazione circa 16.000 punti vendita, per un totale di 140 insegne del comparto non alimentare. La polarizzazione di alcuni mercati all’interno di ben specifici “contenitori distributivi” non sorprende più di tanto.

Non costituisce una sorpresa scoprire che la vendita di abbigliamento e calzature, per esempio, prevale nei centri commerciali, al pari degli articoli sportivi, dell’ottica e della profumeria; mentre si concentrano nei parchi commerciali i mobili, il bricolage e una buona parte dell’elettronica di consumo; così come la vendita di edutainment, cancelleria e giocattoli è ancora in buona parte appannaggio dell’agglomerazione urbana centrale (che rimane un punto di ritrovo estremamente significativo anche per abbigliamento ed elettronica di consumo sia pure con format di metratura inferiore).

Ma mettendo a confronto gli andamenti dei due poli agglomerato urbano cittadino e centro commerciale, sembra che il primo stia recuperando terreno in termini quota di mercato rispetto a una tendenza che negli ultimi anni era andata in direzione contraria. Comparti come quello degli articoli sportivi, della profumeria, dell’elettronica di consumo, del bricolage e dell’edutainment, si riaffacciano insomma alle aree urbane centrali, evidenziando positivi trend di crescita all’interno di questo polo. Lo fanno riscoprendo nuovi format che vengono incontro di fatto alla crescente domanda di una maggiore offerta “sotto casa”.