A livello strutturale il 2011 ha recato nuove criticità all’industria alimentare italiana. Il dato più evidente e  anomalo è il riapparire della flessione della produzione che si era presentata nel biennio 2008-2009. Il calo del 2011 sull’anno precedente è pari infatti all’1,7%, mentre il valore del fatturato del settore cresce solo del 2,4%, al di sotto del tasso di inflazione (+3,2%), attestandosi a 127 miliardi di euro. Questi i primi dati emersi l’1 marzo durante la presentazione romana sullo stato e sui trend del settore curata da Federalimentare.

Le ombre che gravano sul quadro macroeconomico dell’alimentare vengono soprattutto dai consumi interni. Nel 2011 si fermano a 208 miliardi di euro (-2% in termini reali). Il dato diffuso dall’Istat sul commercio al dettaglio dell’anno trascorso è particolarmente allarmante. Depurata dall’inflazione, l’invarianza nel commercio dei consumi alimentari nel 2011 si traduce in un calo di oltre 2 punti percentuali in quantità.
 

Il calo dei consumi al dettaglio dell’1% del dicembre 2011 rispetto a novembre e dell’1,7% rispetto dicembre 2010 consegna, inoltre, al 2012 una velocità di uscita che lascia presagire un anno altrettanto negativo.

Se la produzione e i consumi interni cedono, l’export nel 2011 si è chiuso, per fortuna, con una quota di 23 miliardi e un +10%. Nel 2012 si attendono 25 miliardi di export con una crescita di 8,7 punti percentuali.

“Nel complesso le previsioni 2012 – dichiara il presidente, Filippo Ferrua - non promettono però nulla di buono. Il calo atteso del Pil prossimo al 2% e soprattutto il forte  drenaggio di capacità di acquisto recato dalle recenti misure fiscali comporterà un’ulteriore erosione delle vendite e della redditività, analoga a quella del 2011. Preoccupa soprattutto l’effetto Iva sui prezzi, sia quello già attuato che quello atteso ad ottobre, che la filiera non potrà ammortizzare. La produzione è stimata in calo dell’1,2%, mentre i consumi rischiano di essere ulteriormente penalizzati dell’1,6% in termini reali”.

La Federazione, attraverso il proprio Centro Studi, ha stimato che solo dal nuovo aumento Iva arriveranno aggravi per oltre 3 miliardi di euro.

E parlando della ventilata food tax, che dovrebbe gravare sui beni ritenuti non in linea con uno stile alimentare sano (ma chi decide cosa è sano e cosa no?), Ferrua ha commentato: “Si prospetta una manovra  su un comparto caratterizzato da consumi già recessivi, con misure che colpirebbero in modo importante il carrello della spesa dei generi di prima necessità. L'industria alimentare italiana dice “non ci sto” all'ennesimo prelievo fiscale che avrà inevitabili ripercussioni sul potere d’acquisto degli italiani, prima, e dell’inflazione, poi. Questa zavorra non è sopportabile né per le tasche dei consumatori né per l’industria alimentare, che sta vivendo una congiuntura difficile, con  prospettive di ripresa lenta e sofferta rimandate, nella migliore delle ipotesi, al 2014. Dopo il decreto salva Italia questo non doveva essere il momento delle iniziative per lo sviluppo? Tasse di questo genere possono contraddire l’impegno del Governo di adottare strategie e misure di rilancio dell’economia. Una tassa sugli alimenti, inoltre, è la più odiosa delle tasse perché colpisce soprattutto i redditi medio bassi, imponendo scelte di consumo di peggior qualità e rinunce a momenti conviviali e di gratificazione”.

Una presa di posizione, peraltro, condivisa da 8 italiani su 10: una ricerca Ipsos commissionata da Federalimentare conferma infatti che l’85,6% degli italiani si dichiara decisamente contrario all’ipotesi d’introduzione di un simile provvedimento e l’81,5% ritiene sia una misura finalizzata solo a fare cassa e non, come dichiarato da chi la propone, a orientare i consumi.

“La food tax – dichiara il Presidente Ferrua - viene mistificata come una tassa per la salute, ma non è vero. Si tratta solo di un’ulteriore imposta. Come ormai è opinione condivisa di tecnologi e nutrizionisti, non vi sono cibi cattivi di per sé, ma cattive abitudini alimentari e stili di vita non appropriati, che contrastano con l’educazione alimentare e l’informazione al consumatore”.

Secondo le stime del Centro Studi Federalimentare, applicare all’Italia i sistemi di tassazione sul cibo scelti da pochi altri Paesi europei avrebbe risultati paradossali: si colpirebbe una fetta che può arrivare fino al 14% del carrello della spesa. Inoltre, l’inevitabile rincaro dei prezzi dei prodotti soggetti a tassazione avrebbe l’effetto di accelerare e rafforzare la tendenza alla flessione dei consumi alimentari domestici delle famiglie (-2% nel 2011, ma -8% se consideriamo gli ultimi 4 anni), effetto della crisi in corso. Dovendo spendere di più per prodotti comunque necessari, ai quali i consumatori non rinuncerebbero certamente, si spenderà di meno per altri, innescando la spirale dell’inflazione e rinviando la tanto attesa fase di rilancio dei consumi.

L’introduzione di una nuova tassa su cibi e bevande contraddice l’impegno preso dal Governo di adottare – dopo i tanti sacrifici – strategie e misure di rilancio dell’economia: gli oltre 3 miliardi di euro di maggiori costi Iva rappresentano infatti circa l’1,5% del totale dei consumi alimentari complessivi. Ma non solo: i consumi, a valuta corrente, rimarrebbero fermi a 208 miliardi, registrando una sostanziale perdita in termini reali del 2,5% in quantità, perdita più elevata per le famiglie a basso reddito dove il peso dell’alimentare sulla spesa complessiva sale dal 17 fino al 25-30%. Mentre l’export, a oggi l’elemento trainante dell’economia del settore, registrerebbe un brusco rallentamento rispetto alla media degli ultimi anni, attestandosi, a fine anno, su un +7% rispetto al +8,7% atteso nel 2012, con una perdita di quasi 2 punti percentuali.

Senza contare l’effetto di immagine negativa sul Made in Italy derivante dal fatto che fino al 14% dei nostri prodotti (quasi 3 miliardi di euro sul globale del nostro export) che varcano la frontiera sarebbero gravati da una sorta di marchio d’infamia (una tassa, applicata perché non considerati cibi sani), che ne comprometterebbe la migliore affermazione sui mercati internazionali.
Un paradosso, se solo si considera il percorso virtuoso per la corretta educazione alimentare degli italiani che il settore ha intrapreso da diversi anni.

A proposito di immagine, una ricerca di Format Research sulla reputation dell'industria alimentare italiana, realizzata a febbraio 2012 su un campione di 1000 manager di aziende alimentari, rivela che, oggi, per 2 aziende alimentari su 3 (66,1%) è prioritario offrire alimenti sempre più nutrizionalmente equilibrati e promuovere stili di vita salutari. Mentre 6 aziende su 10 (58%) rivelano che è centrale per il proprio business la capacità di fare innovazione, messa seriamente a rischio da questa ipotesi di tassazione.