I retailer globali sono cautamente aggressivi o aggressivamente cauti? A chiederselo è la società internazionale di consulenza A.T. Kearney, nell’ultima edizione del suo “Global retail development index” (GRDI), dedicato sia ai colossi dell’alimentare, sia a quelli del non food (è previsto anche un report sul commercio elettronico, che verrà pubblicato in seguito).

Se lo scenario è generalmente improntato a una riduzione della velocità di internazionalizzazione, il processo di scoperta dei nuovi business si sta sempre più orientando verso i mercati ad alto tasso di sviluppo. Solo nel corso di questa settimana sono state annunciate tre operazioni, che pur non essendo di respiro particolarmente ampio, confermano largamente questa direzione strategica. La spagnola Mercadona ha definitivamente rinunciato al progetto di ingresso in Italia, siglando questa decisione con la chiusura dei suoi uffici nazionali, un piccolo avamposto di 8 persone, cioè un costo irrisorio per una multinazionale: ma evidentemente si trattava di un ramo secco. La svizzera Migros, che resta comunque un retailer locale, ha rivelato che in settembre girerà i suoi 4 punti di vendita residui in terra tedesca a Rewe. Dal canto suo Carrefour ha siglato nuovi accordi di franchising in Romania con due catene locali di supermercati, "Traditional Ecologic" presente a Bucarest e nel distretto di Ilfov, e “Rost Com” localizzata a Brasov.

L’Europa industrializzata e sviluppata, insomma, sembra non interessare più, malata com’è di una grave recessione economica e forse anche di un fisiologico invecchiamento. “Naturalmente non c'è mai nulla di facile in una strategia di espansione globale, quando si parla di vendita al dettaglio – puntualizza A.T. Kearney -. Ogni mercato ha sfide uniche che richiedono strategie uniche per il successo. E GRDI quest'anno ha riscontrato diversi esempi di Paesi in cui i retailer globali stanno facendo un passo indietro rispetto all’espansione aggressiva di un passato non troppo lontano, in favore di strategie più prudenti. Si affronta magari la lontana Cina, ma si riducono i piani di apertura in Patria. In alcune aree, come l'America Latina e l'Asia centrale, le grandi insegne approcciano il mercato cominciando dalle nazioni più piccole, per affinare le strategie prima di entrare in mercati più ampi”.

A.T. Kearney stila una classifica dei Paesi che suscitano, nei fatti e nelle strategie, il più altro livello di interesse. La top 20 è guidata da tre nazioni sudamericane, rispettivamente Brasile, Cile e Uruguay. La Cina si piazza al quarto posto, mentre seguono gli Emirati arabi uniti, la Turchia, la Mongolia, parecchie nazioni asiatiche vicine all’Europa, come Georgia e Armenia. Nella seconda parte della classifica si ha una continua alternanza fra aree asiatiche, prossime o distanti, arabe e latino americane, come la Colombia che si piazza al diciottesimo posto.

“L'Africa sub-sahariana dal canto suo desta interesse. Presentano particolare slancio il  Botswana, venticinquesimo, e la Namibia, ventiseiesima. Considerando che nel 2100, cinque dei 12 Paesi più popolosi del mondo sarà in Africa, non c'è dubbio che questo continente sia una enorme opportunità per coloro che sono disposti ad affrontare l’instabilità politica e i rischi finanziari”.

E’ un fatto curioso che l’avanguardia del processo di penetrazione sia costituita da format grandi e complessi, come centri e parchi commerciali. Però la spiegazione è abbastanza semplice. Le cattedrali dello shopping, oltre ad affrontare costi immobiliari decisamente irrisori rispetto a quelli dei grandi Paesi sviluppati, suppliscono alla mancanza locale di attrazioni e svaghi, arrivando addirittura a giocare il ruolo di centri storici e multifunzionali.

Il report scende molto in profondità, dedicando analisi dettagliate ai 30 Paesi di maggiore interesse. Da parte nostra limitiamoci alle considerazioni di fondo, rimandando il lettore al documento originale, disponibile in Internet.

Un piccolo focus va però dedicato al Brasile, un vero goleador, che per il terzo anno si piazza in cima al GRDI e che sembra avere tolto spazio alla grande Russia, fino a poco tempo fa una vera Mecca dell’internazionalizzazione, ma oggi vicina alla saturazione. A dispetto di un un pil che rallenta, perdendo un punto nel 2012, il carrello della spesa dei brasiliani diventa sempre più ricco, tanto che si prevede ancora un balzo dell’11% a fine 2013.

Del resto per il Brasile si può parlare di una crescita organica, a tutti i livelli: le infrastrutture continuano a migliorare, la fiducia dei consumatori è alta, il livello di occupazione in salita, l’accesso al credito semplice. Entro il 2014 ben 113 milioni di persone, ovvero il 56% della popolazione, rientrerà nei parametri della cosiddetta “classe media”. Dunque “i principali retailer stanno sviluppando le proprie superfici di vendita”. Colossi come Wal-Mart, che ha già più di mezzo migliaio di punti di vendita sul posto, come Casino, tramite “Pao de Acucar”, Carrefour e la cilena Cencosud, stanno investendo un fiume di miliardi.

L’asse del mondo si sta spostando e quelle che una volta erano chiamate le nazioni del Terzo o del Quarto mondo stanno conoscendo, a parte le moltissime e rilevanti eccezioni (basti pensare al Corno d’Africa) un vero boom economico, che assomiglierebbe ai nostri anni Cinquanta, se non fosse amplificato ed accelerato, e reso per certi versi meno prevedibile e più pericoloso, dalla modernità, dalla forza delle imprese, dallo sviluppo della tecnologia.

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