Un Paese impoverito, insofferente ma incapace di ribellarsi e, piuttosto incline a fare ulteriori rinunce sulle proprie spese quotidiane. Questo il ritratto degli italiani delineato da Censis per Confcommercio su un campione di 1.200 famiglie stratificate per macro-area di residenza, per ampiezza demografica del comune di residenza, per età del capofamiglia e tipologia familiare.
La rilevazione è stata svolta nel corso delle ultime due settimane di settembre 2012 attraverso la somministrazione di un questionario a risposte chiuse per via telefonica con metodo CATI.

E’ un’istantanea tragica, indice di una nazione disposta a tutto, a sopportare, come fa dai tempi di Tangentopoli una classe politica prima cialtrona e poi taglieggiatrice, assolutamente inetta a rilanciare le imprese, ostinata come un mulo a non volere comprendere che è solo rimettendo in moto i consumi si potrà rimettere in moto il Paese.

E invece fioccano nuovi balzelli ogni giorno, fino all’ultimo, appena accennato ma di sapore decisamente stalinista: il futuro prelievo del canone Rai 2012-2013 potrebbe essere fatto direttamente in sede di dichiarazione dei redditi. Il tutto per finanziare un’impresa che si avvia a chiudere il 2012 con una perdita di 200 milioni, ben pochi rispetto a ricavi miliardari, e che osa mettere le mani in tasca ai cittadini piangendo sul calo degli investimenti pubblicitari, come se gli altri gruppi editoriali privati, grandi e piccoli, non avessero sofferto anche peggio del sistema televisivo. Ma gli altri se la sono dovuta cavare – male – da soli, senza avere un canone come paracadute. E questa ultima beffa si aggiunge a una beffa ancora più grave: quella degli stipendi dei politici, dei vitalizi, dei benefit e via dicendo, mai toccati, perché tanto una commissione che blocca le proposte in questo senso si trova sempre. Ancora il 25 ottobre la Bicamerale per gli affari regionali ha bocciato un decreto legge emanato dal Consiglio dei Ministri  con l’obiettivo di tagliare i costi della politica di Regioni ed Enti locali.

E intanto industriali e distributori sono costretti a inventarsi ogni giorno novità per attrarre il consumatore, che consuma sempre meno, visto che per giunta, in un caso su tre, quasi su quattro, ha pure un figlio disoccupato da mantenere (il 32% dei giovani non trova lavoro). Ultimo esempio il book crossing, lanciato in contemporanea dal centro commerciale Le Cartiere di Pompei e dal primo punto di vendita del nuovo format Coop, che ha debuttato sabato 17 novembre a Campo Grande, vicino a Mestre. Un servizio che non rende niente – si tratta di un circuito di scambio gratuito di libri -, ma che si fa in modo indolore, in accordo con le associazioni culturali. Però, comunque, il punto di vendita deve allestire uno spazio apposito, e lo spazio costa. Certo non è un rigurgito di mecenatismo culturale, ma bisogno di aumentare l’afflusso nella grandi superfici, perché i prodotti civetta, le promozioni, il prezzo basso tutti i giorni non bastano più a nessuno.

Ma lasciamo parlare la ricerca, che conferma che “costi, sprechi e corruzione mantengono alta l’insofferenza degli italiani nei confronti della politica; non è, dunque, un caso se una famiglia su due – si legge in una nota diffusa alla stampa venerdì 16 - giudica l’Italia un Paese disorientato e con una classe dirigente mediocre. Ma nonostante ciò, le famiglie non protestano e anche di fronte al permanere di un ciclo depressivo dei consumi e alle evidenti difficoltà economiche – tasse troppo alte, compressione dei redditi, erosione dei risparmi, problemi nella restituzione delle rate dei mutui – si adattano rimodulando i propri stili di consumo”.

“Secondo lo studio, sono poche le famiglie che riescono a cogliere qualche segnale positivo sul fronte delle misure di politica economica messe in atto nell’ultimo anno, anzi è abbastanza diffuso il senso di insofferenza nei confronti di tutto ciò che rientra nella sfera che riguarda la classe politica e le misure approntate nell’ultimo anno dal Governo. Infatti, quasi il 69% degli intervistati considera ormai intollerabili i costi e gli sprechi della politica a cui si aggiunge quasi il 48% di chi considera inaccettabile il livello raggiunto in termini di malaffare nella gestione dei beni pubblici. In una percentuale consistente, pari al 22%, si posizionano coloro che considerano ormai eccessivo il livello raggiunto dalla pressione fiscale.

Per la metà degli intervistati inoltre l’Italia resta un Paese disorientato, e con una classe dirigente mediocre, mentre per quasi un quarto del campione nel nostro Paese ci sono ancora troppe differenze sociali.

“Eppure al di là di problemi che schiacciano gran parte della cittadinanza, emerge un diffuso atteggiamento adattativo: le famiglie non protestano, ma adattano i propri stili di vita alla congiuntura di crisi, tagliano e rimodellano i propri budget di spesa, procedendo in un tunnel il cui termine sembra ancora lontano. Solo il 10% degli intervistati dichiara di sentirsi confuso dalla crisi perdurante, mentre il 40,8% dichiara che taglierà i consumi a cui si aggiunge un 29% di coloro che hanno dichiarato di non voler rinunciare a nulla, rimodulando le priorità di spesa.