Francesco Pugliese, numero uno di Conad, venerdì ha staffilato duramente Unilever, colpevole, secondo il direttore generale, di avere condotto, con il lancio dei prodotti monoporzione, una politica demagogica e in contrasto con i princìpi dell’economia e della tutela ambientale. Riportiamo integralmente l’atto di accusa, intolato “Una crisi singolare”.

“Se in tempi di crisi il consumatore stringe la cinghia, le aziende possono stringere le confezioni, ha pensato Unilever annunciandolo con enfasi sui media. Ripreso il vecchio concetto di predosato, di quantità ideale che risponde alle più ferree logiche del risparmio, il colosso anglo-olandese arriva alla scoperta della monodose e alla prospettiva più ampia di un “mondo monodosato”. Un single, in questo scenario, prende la sua monoporzione di sugo e nell’essenzialità del proprio monolocale, condisce i suoi canonici ottanta grammi di pasta. Geniale antidoto alla crisi? No, una solenne idiozia.
Sul piano del processo industriale produrre le monoporzioni costa unitariamente di più. Sul piano della sostenibilità ambientale, di cui Unilever fa un perno della propria mission, la quantità di packaging destinata a diventare rifiuto è proporzionalmente maggiore delle normali confezioni.
In termini di prezzo praticato al consumatore, il costo euro/chilo del prodotto è inevitabilmente più alto.
Si crea solo un’illusione di risparmio attraverso una dilazione della spesa.
I costi della logistica e le relative implicazioni per un distributore sono più alti e ne rendono più complessa la gestione.
Ancora più risibile è la motivazione di Unilever, secondo cui “questa strategia ha già funzionato in Paesi come l’India”, assimilando l’Italia a mercati completamente diversi come livello di evoluzione e caratteristiche, in una logica tipicamente da multinazionale di “one size fits all”. Al contrario, noi pensiamo che bisognerebbe dare risposte diversificate a esigenze diversificate, coniugando efficienza produttiva e logistica con la sostenibilità economica di un costo/porzione più basso, ed ambientale di un impatto inferiore del packaging e dei rifiuti.
La porzione unica è come il pensiero unico: non prefigura una soluzione imprevedibile, ma un fallimento largamente previsto”.

La multinazionale anglo olandese non ha per ora risposto ufficialmente, almeno a quanto ci risulta, ma le sue motivazioni sono abbastanza chiare, come riporta, fra gli altri, “Il fatto quotidiano”. Jan Zijderveld, capo del business europeo di Unilever, in un’intervista al “Financial Times Deutschland”, ha detto che il fenomeno deriva dalle nuove forme di povertà create dalla recessione. “In Indonesia vendiamo delle mini confezioni di shampoo a 2 o 3 centesimi, il prodotto funziona e noi guadagniamo. Sappiamo come fare, anche se negli anni precedenti alla crisi in Europa lo avevamo dimenticato”. Anche in Spagna il big del largo consumo ha inserito a scaffale confezioni di detersivo da 5 dosi, e altrove, in Grecia, ha dato il via a una linea di condimenti “one shot”. Il risultato? Un aumento del fatturato dell’1,1% in 6 mesi in area europea.

Certo i miniprodotti creano, alla lunga, una serie di problemi logistici e ambientali abbastanza pesanti e, a tutta prima, la motivazione di assicurarsi maggiori margini non è affatto peregrina (chiunque può condividere che Pugliese ha ovviamente ragione quando parla di un prezzo euro/kg superiore). Tuttavia sul piatto della bilancia vanno messi altri due elementi non trascurabili: le cosiddette “confezioni famiglia”, vendute a un prezzo al chilogrammo davvero allettante, comportano spesso che una parte del prodotto venga gettata (tanto costa poco). E lo spreco alimentare nel mondo non è certo un problema da poco. Inoltre l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei single in tutte le fasce di età comporta una richiesta di prodotto decisamente inferiore rispetto al contenuto dell’imballo classico, di solito concepito almeno per due persone. Il monoporzione, come spesso emerge, è in effetti realmente richiesto.

Le perplessità di altri osservatori, oltre a Pugliese, non mancano, ma nessuno per ora ha dato una giusta risposta, che metta in equilibrio il marketing con la cosiddetta Csr. Probabilmente non esiste nemmeno una formula magica. Ma è giusto che ogni consumatore trovi sullo scaffale il prodotto più indicato per le proprie esigenze e per le proprie tasche. Da anni la gdo e l’industria vanno raccontandoci, spessissimo a sproposito, che il “consumatore è re”: se questo è vero, e sovente non lo è affatto, una simile logica deve anche concretizzarsi in assortimenti il più possibile completi.

E comunque, alla fine, esistono pur sempre sondaggi di opinione e ricerche che permettono al popolo silenzioso di dire la sua, senza dovere sempre mettere soltanto mano al portafoglio per pagare oggetti dei quali non è pienamente soddisfatto. Interroghiamo il mercato, prima di dare risposte aprioristiche, e questo vale sia per Conad che per Unilever, come per tutti gli altri operatori economici.