Fnac e Darty Italia, Virgin France, Blockbuster Francia: sono gli esempi più recenti, tutti diversi, ma tutti con denominatori comuni, di grandi gruppi dell’elettronica e/o dell’editoria multimediale che hanno dovuto gettare la spugna, davanti a mercati che non li vogliono più.

Le vicende nazionali sono note, e non vale la pena di riassumerle nei dettagli, in quanto DM le ha seguite capillarmente, fino al più recente episodio, ossia il totale sbriciolarsi  della rete degli 8 negozi Fnac: 3 punti di vendita chiusi almeno in via provvisoria, altri 5 per i quali si prevede una trasformazione in semplici corner, procedure draconiane sul personale, un’ipotesi di vendita palesemente gradita al liquidatore fallimentare, Matteo Rossini. Insomma un bagno di sangue, dopo 12 anni di attività senza un euro di utili e una conclusione con un debito praticamente pari al fatturato.

E’ andata un po’ meglio a Darty: 20 punti di vendita passati a Dps Trony, che però è decisa a non conservarne neppure l’insegna, indicazione chiara dell’insuccesso del marchio.

Meno note le vicende di Virgin France. I multimedia center, lanciati nell’Esagono dal magnate Richard Branson nel 1988, data della prima apertura sugli Champs Elysées, passano nel 2001 ad Hachette Distribution Service. L’insegna ha un grande prestigio, lavora in mercati altamente innovativi, ma il business non decolla, e il 2013 segna la caduta definitiva: il 9 gennaio i bilanci vengono portati in Tribunale, ma esistono vari pretendenti, soprattutto “Cultura” della famiglia Mulliez, titolare di Auchan, che vuole in questo modo fare concorrenza a Fnac, la quale ultima conserva in Patria un predominio assoluto, nonostante sia in atto un processo di graduale ridimensionamento dei negozi: da megastore a “supermercati” culturali di prossimità.

Blockbuster: in Italia, lo sanno tutti, la catena, oltre 100 vetrine, è crollata dopo anni di agonia e i punti di vendita sono stati comprati da Essere Benessere, per trasformarli in city store, via italiana ai convenience, con una forte enfasi sulla farmacia e sul benessere, ma anche con uno zoccolo di beni di consumo inserito con la collaborazione del partner Unes. In Francia le cose stanno diversamente: il marchio americano è un gigante da 528 store, ma viene avviata il 18 gennaio la procedura di curatela fallimentare. Ai 31 punti di vendita già cancellati tempo fa, se ne aggiungono altri 160.

Diciamo subito che per Blockbuster il verdetto sfavorevole è nell’evoluzione dei modi di fruizione dello spettacolo cinematografico (fattore comune),  ma soprattutto nella pirateria informatica. Il film, in altre parole, o viene scaricato abusivamente, o viene noleggiato tramite servizi decisamente più comodi ed economici, come Apple iTunes, tanto per citare il leader. Si affermano inoltre le tv a pagamento, con il corollario del video on demand. Nessuno ha più voglia di uscire per noleggiare o acquistare un film o un videogioco, potendolo fare in tutta comodità dal proprio divano. Blockbuster non si adatta, è incapace di virtualizzare offerta e struttura e man mano cede sotto il peso dei propri costi, ormai inutili, insopportabili e anacronistici.

Se il tempo ha fissato la data di morte di Blockbuster, che però non a caso è passata nelle mani di Dish Network, re del video on demand, dello streaming e della tva satellitare, quali fattori hanno inciso sugli altri?

Alcuni osservatori e persino gli stessi vertici di Fnac Italia sono venuti a raccontarci la pietosa menzogna della difficoltà di esportare il modello di business e il tipo di format. Una vera stupidaggine. Nella distribuzione, come in qualsiasi altra questione di affari, volere è potere, ma potere è investire e probabilmente, nel mondo dell’elettronica e dell’editoria, due segmenti sempre più vicini e sovrapposti, le risorse mancano e la crisi picchia duro. Altrimenti non si spiegherebbe perché una delle maggiori insegne commerciali italiane, nonché secondo distributore mondiale, sia la francese Carrefour, e come essa se ne stia da sempre in Italia, dando del filo da torcere a tutti, solo per citare un nome. Si dirà che Carrefour va meno bene di Coop, Conad ed Esselunga, e che la sua area operativa core non è l'elettronica ed è vero. Ma vale l'esempio: Carrefour è una multinazionale e può accettare delle perdite, o comunque guadagni irrisori in Italia, trovando riscatto in tutta la ricca area dei nuovi mercati, dove l’ultima frontiera mondiale è l’Africa insieme al promettentissimo Brasile.

Ma anche Fnac, Darty e Vigin sono insegne a diffusione internazionale e dunque questo gioco sarebbe concesso, in teoria, anche a loro. In realtà, anche se sulla sorte di Fnac ha pesato la decisione della controllante – la multinazionale del lusso Ppr, titolare fra l’altro di Gucci – di uscire da un business che ormai le era sempre più estraneo, è proprio il modello stesso di punto di vendita dell’elettronica di consumo e dell’editoria multimediale ad essere superato. Megastore enormi con organici folti, pochi sconti, un assortimento che per quanto vasto è pur sempre definito, canoni di affitto spaventosi, visto che i negozi devono necessariamente stare nei centri storici o almeno vicino a essi, hanno portato i guadagni sottozero. 

Per contro alcune potentissime dotcom, da quelle globalizzate come Amazon a quelle nazionali come Ibs (il caso di E-bay è tutto diverso) vendono gli stessi prodotti, fanno sconti del 15-20-25%, trattano anche l’usato, sono in contatto, almeno Amazon, con altre aziende piccole e medie per le quali operano con il modello del marketplace. Sempre più spesso il prodotto non ha costi di consegna a domicilio e arriva in meno di 48 ore. Il libro o il telefonino si scelgono in negozio e si ordinano, magari nello stesso momento e con il cellulare, su una piattaforma di e-commerce a un prezzo decisamente più interessante e con un livello di servizio ben più elevato. Basti dire che Amazon accetta il reso assolutamente incondizionato – non è necessario che il prodotto funzioni male, basta che non piaccia – a 30 giorni, con rimborso su carta di credito o con sostituzione con altro articolo. E se si sceglie il rimborso questo arriva in una settimana al massimo.

Come competere con tutto questo? Se si decide di competere e non di vivacchiare come stanno facendo molti operatori del mercato fisico, bisogna assolutamente ribaltare il modello operativo. Il negozio deve diventare più piccolo e trasformarsi in un help center, dove si forniscono soluzioni e dove si danno consigli a quella vasta fascia di clienti, e sono moltissimi, che ne hanno ancora bisogno, dove si eroga l’assistenza post vendita, si stipulano i finanziamenti e via dicendo. 

Caso tipico, e anche luogo comune, è quello di un signore che a 70 anni ha deciso di comprarsi il primo pc anche perché senza è tagliato fuori dal mondo, ma non sa assolutamente come scegliere, non sa cosa vuole, non sa cos’è un sistema operativo, anche se ha ovviamente sentito parlare di Apple (ma non di Mountain Lion) e di Windows (ma non di Microsoft), non sa che gli servirà almeno un antivirus e una suite di produttività individuale, oltre, probabilmente un programma per gestire le fotografie, i filmati, la musica. Amazon non è per lui, ammesso che non abbia in figli e nipoti validi consulenti personali gratuiti. Ma se questo stesso signore sa che in un centro Fnac o Darty troverà un commesso preparato e gentile che lo guiderà a una scelta giusta, con il migliore rapporto qualità prezzo e commisurata al suo portafoglio, che farà per lui la transazione on line, sul sito della stessa insegna, e che gli garantirà anche l’installazione del marchingegno a domicilio e, con poche decine di euro, persino un minicorso per partire, è molto probabile che deciderà di spogliarsi delle proprie ansie e di comprare.

Tutto questo non è semplice a farsi, non è veloce, non è inincruento per il personale dei punti di vendita ai quali verrà richiesto di lavorare di più guadagnando la stessa cifra, di sapere di più e anche di accettare licenziamenti pilotati, possibilmente con un servizio di outplacement, visto che si tratta di esseri umani e non di bestie. Ma volendo sopravvivere questa è l’unica strada. Altro che modello di business difficile da esportare! Oggi il modello del futuro è solo uno, almeno per tutti i Paesi acculturati. Se non si desidera accettare questa logica si continuerà a tirare avanti con una politica di lenta eutanasia, con sforbiciate periodiche sul personale e sulla rete, con vendite ad altri – magari ai soliti fondi di investimento che ragionano in ottica puramente finanziaria  - che non risolvono nulla, se non di raffreddare per qualche anno o mese la patata bollente per poi passarla a un altro, fino al giorno dell’immancabile bancarotta.