Mentre in altri Paesi, come la Francia e la Spagna, ci si batte per arrivare a una completa, o almeno parziale, liberalizzazione degli orari del commercio, da noi continuano le polemiche. Polemiche discutibili forse, perché tanto poi a fare le regole è il mercato, che è capace, sulla base delle nude cifre, di dire a un distributore se l’apertura festiva è conveniente oppure no. Certo rimangono da sciogliere nodi ancora importanti, a partire da quello della giusta remunerazione di chi presta la propria opera durante i giorni di festa, e di chi non è proprio in condizione, anche volendo, di lavorare di domenica: citiamo soltanto le madri di famiglia. Il primo problema sta comunque trovando qualche esempio di accomodamento vantaggioso anche per gli addetti alla vendita. Pensiamo soltanto a Metro Italia, che, nel suo recente contratto integrativo, ha previsto un bonus del 70% per questo tipo di prestazione straordinaria, prestazione che comunque non dovrà estendersi a più di 12 giorni all’anno.

Altro motivo di contesa sono gli interessi dei piccoli dettaglianti, costretti di fatto ad alzare le saracinesche anche quando non vorrebbero per sostenere un’impossibile competizione con i colossi della gdo.  Ultimamente a infiammare gli animi, come avviene ormai regolarmente in tutte le giornate segnate in rosso sui nostri calendari, è stata la decisione, da parte delle grandi insegne, di aprire nel giorno di Ognissanti. Ne sono derivate proteste, manifestazioni, cortei. E’ un fatto che in questo modo non è possibile continuare ed è altrettanto chiaro che le parti in causa devono venire a qualche forma di accordo, che salvaguardi gli interessi in campo, a volte in netto contrasto. Si abusa tanto dell’espressione “tavolo comune”, ma forse sarebbe il caso, questa volta, di pensarci seriamente.

Il fatto più eclatante della settimana, che non sarà certo l’ultimo, è stata la polemica, piuttosto accesa, tra Confesercenti e Conferenza episcopale italiana, da un lato, e Federdistribuzione dall’altro. Il clero vuole restituire il sacro giorno di riposo ai nostri connazionali, e trova le proprie giustificazioni nelle usanze e nelle Sacre Scritture. Anche i piccoli dettaglianti hanno, lo abbiamo già detto, le proprie ragioni. E così è nata “Libera la domenica”, una raccolta di firme per portare davanti al Parlamento una legge di iniziativa popolare che di fatto cancelli la deregulation introdotta dalla legge “Salva Italia”. Secondo Marco Venturi, presidente di Confesercenti, questa bella innovazione sta portando sulle soglie del fallimento altri 80.000 negozi. Il 25 novembre, ossia fra due domeniche, il clero porterà davanti a tutte le Chiese la proposta di revisione, una proposta che, in senso morale, vuole anche dire ridare alle famiglie almeno una giornata per stare insieme.

Venturi, nelle dichiarazioni rilasciate ai quotidiani, in questo caso alla “Stampa”, incalza: «Negli ultimi anni Confesercenti ha denunciato 100.000 imprese in meno. A queste, andranno aggiunte altre 81.000, che chiuderanno nei prossimi 5 anni, con la scomparsa di circa 240.000 posti di lavoro. Questo si traduce in città sempre più vuote e meno sicure, minore servizio di vicinato, maggiori difficoltà per gli anziani, in una parola in una desertificazione del territorio».  In questi casi, ha ancora precisato, il legislatore nazionale non può sottrarre il potere agli enti locali. Bisogna insomma fare tabula rasa e intervenire con un provvedimento che lasci alle Regioni le decisioni in materia. Veneto, Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna, a quanto pare, sono già allineate su questa posizione.

Tutto diverso evidentemente il punto di vista della gdo, che non desidera affatto tornare al vecchio stillicidio di ottenere, per ogni domenica di apertura, un’apposita autorizzazione. E poi, secondo la Federazione del dettaglio moderno i numeri presentati dal fronte opposto non sarebbero nemmeno veritieri.

Il comunicato arrivato nelle redazioni l’8 novembre, parla chiaro. In Italia sono già più di 3 milioni le persone che lavorano la domenica, non solo nei settori dei servizi essenziali come sanità, trasporti e forze dell’ordine ma anche nei cinema, teatri, bar e ristoranti e in molte formule del commercio, quali gli outlet o i punti vendita localizzati sulle autostrade, si legge nella nota.

La legge “Salva Italia” ha permesso libertà d’iniziativa agli operatori commerciali per quanto riguarda gli orari, sia di apertura che di chiusura dei negozi, dando opportunità di adattare gli orari stessi alle esigenze della propria clientela. Questo provvedimento è stato oggetto di strumentalizzazione da parte di chi parla di aperture domenicali e 24 ore su 24 degli esercizi commerciali.

Le aperture domenicali rispondono a nuovi bisogni della società e sono un servizio per i cittadini, che dimostrano di apprezzarlo: là dove il punto vendita rimane aperto durante tutta la settimana, la domenica è diventato il secondo giorno per affluenza e acquisti dei clienti, subito dopo il sabato.

Le aperture domenicali rappresentano anche un sostegno all’occupazione in un quadro di tenuta occupazionale cedente e in uno scenario nel quale le opportunità d’acquisto per i cittadini si diversificano e si ampliano senza alcun limite di orario, come è il caso dell’e-commerce.

Il mondo del commercio, nonostante il calo dei consumi, dimostra di saper fronteggiare la situazione di crisi. Chiudono dei negozi ma altrettanti ne aprono, grazie a imprenditori, anche di diverse nazionalità, che vogliono rinnovare l’offerta nei confronti dei consumatori. I dati dell’Osservatorio del Commercio del Ministero dello Sviluppo Economico testimoniano infatti che nel primo semestre del 2012 gli esercizi commerciali in Italia sono diminuiti solo di 2.743 unità, pari allo 0,3% del totale (949.325 esercizi). Un leggero calo, ma imputabile agli effetti prolungati della crisi, non certo alle maggiori aperture domenicali!

Federdistribuzione – conclude il comunicato - è a disposizione della Cei per spiegare le verità non dette e per illustrare come a suo avviso non si tratti di questione antropologica e sociale, ma di servizio ai 60 milioni di cittadini italiani.

Chi avrà ragione? Difficile dirlo. Le cifre non sono concordi, le posizioni paiono ugualmente degne di rispetto. Ma prima che intervenga il legislatore, cancellando una legge che indubbiamente va nel senso della libertà di impresa, sarebbe sicuramente molto utile – lo ripetiamo – un tavolo di confronto, tanto per non riportare indietro pericolosamente la lancette dell’orologio.