Aldo Sutter, presidente di Ibc, l’associazione delle industrie dei beni di consumo, non si fa alcuna illusione sul fatto che sia davvero un momento difficilissimo, estremamente delicato, in  cui gli investitori esteri tendono a disertare l’Italia. L’industriale, che ha espresso il proprio parere durante l’assemblea dell'organismo di categoria presideduto, ha puntato però, più che sulle lamentele per un presente quanto mai ingarbugliato, sulla sottolineatura di alcuni elementi di positività e sulle ricette  per uscire dal tunnel.

“Il Governo Monti ha appena imboccato la via del risanamento e il lento calo dello spread ha dimostrato che gli altri Paesi gradiscono la manovra. Alcune misure, come le deregulation, sono fondamentali per liberare risorse: peccato che molti settori ne siano rimasti fuori, come l’energia, la distribuzione dei carburanti – dove allo gdo si dovrebbe concedere di avere un peso -, i servizi sociali, le professioni e via dicendo. Serviranno senz’altro altri provvedimenti, per rinforzare la strada intrapresa – spiega Sutter -, come sarà irrinunciabile riformare l’apparato burocratico, per snellire le procedure a cui oggi è soggetto l’investitore, e dare maggiori certezze in fatto di giustizia civile. E poi è indispenabile diminuire il carico fiscale diretto e indiretto: per questo l’aumento dell’Iva, sia quello dello scorso anno sia quello previsto per il prossimo autunno, ci preoccupa: crea inflazione e dunque rallenta gli acquisti. L’Italia non può ripartire se non si rimettono in moto i consumi. Noi, come sistema industria-distribuzione, abbiamo fatto il possibile per contenere l’impatto, rinunciando a parte dei margini e dunque a budget che avrebbero invece dovuto sostenere lo sviluppo”.

Difficile ipotizzare che gli operatori economici riescano a ripetere ancora il miracolo già compiuto nel 2011. Da allora molte cose sono ulteriormente peggiorate: la bolletta dei carburanti è diventata iperbolica e ha appesantito la catena logistica; il maltempo di gennaio e febbraio ha spinto verso l’alto i prezzi delle derrate agricole; è stata fissata la data del pagamento dell’Imu (giugno); la rincorsa delle materie prime non si è fermata. “Se il contenimento virtuoso del costo dei beni di consumo non sarà più possibile – avverte Enrico Giovannini, presidente di Istat – la sola Iva farà schizzare in alto i prezzi dell’1,35%”.

Giovannini spiega inoltre che anche le esportazioni, per quanto dinamiche, non danno l’aiuto fornito durante altre crisi, affrontate magari con una svalutazione, cosa oggi impensabile visto che il sistema monetario è unificato. Se il saldo commerciale è rimasto favorevole è soprattutto perché sono cadute le importazioni, ossia l’Italia, malata, ha comprato sempre meno. Cosa abbastanza normale, visto che il Pil, a fine 2011, è in caduta del 5,3%. Dopo due trimestri di ripiegamento di questo indicatore ci troviamo in quella che si chiama una “recessione tecnica”, ossia il Paese deperisce al di là di ogni ragionevole dubbio.
Anche i fondi stanziati dalla Bce in favore della nostra Penisola non hanno per ora reso più fluido il mercato creditizio: sia le imprese, che le famiglie non ne hanno ancora tratto alcun vantaggio.

Tant’è vero che, come dimostra l’ultimo monitor di Indicod-Ecr, il “sentiment” delle imprese peggiora. Circa il 45% delle aziende intervistate dichiara che gli investimenti resteranno stabili, il 25% mostra una generale incertezza per il futuro, il 25% prevede una diminuzione nei budget delle risorse umane e il 23% di quelli di marketing. Per quanto riguarda il giro d’affari, sia le realtà industriali che i retailer dichiarano di avere registrato un peggioramento negli ultimi sei mesi del 2011: in particolare il commercio all’ingrosso con -4,6%, il totale industria -3,6%, il largo consumo -2,5% e la gdo con -1,1%. Le aspettative per il prossimo futuro sull’andamento degli affari mostrano un ulteriore appesantimento.

Come uscire da questo loop senza fine, dalla diabolica macchina che fa sì che una nazione impoverita, acquistando sempre meno, impoverisca le aziende, le quali a loro volta, non avendo più nulla da dare, creano inevitabilmente altri poveri, dove i poveri sono poi lo sterminato esercito della piccola e media borghesia? Semplice a dirsi, meno a farsi: rilanciando i consumi. Fino a quando i carrelli della spesa non torneranno a riempirsi, non si potrà praticamente fare nulla.

Su tema Ibc ha esposto il proprio piano che verte su 4 elementi: puntare sul valore, in quanto i consumatori spendono meglio il proprio denaro e vogliono qualità dimostrata quando acquistano, oltre a una buona dose di innovazione; creare un’alleanza industria-distribuzione, due realtà che non possono più permettersi costosi conflitti; correttezza nei rapporti fra produttori e commercianti, il che vuol dire (cominciando dal famigerato articolo 62 che fissa i tempi di regolamento delle fatture) certezza dei pagamenti e certezza delle forniture; approfondimento della Csr, sia perché il consumatore se lo aspetta, sia perché le politiche di rispetto dell’ambiente, delle risorse e del sistema sociale generano, alla lunga risparmi anche notevoli.

E a proposito di articolo 62, cosa ne pensa la distribuzione? Maniele Tasca, direttore generale di Selex, dopo avere spiegato che, comunque vadano le cose, è ormai impossibile agire sulla leva del prezzo, spiega: “Questa norma, giunge intempestiva, in un momento in cui i rapporti di affari sono già tesi. Del resto occorreva dare più tempo al sistema per metabolizzarla (la regolamentazione entrerà in vigore in ottobre, ndr). Speriamo almeno che industria, distribuzione e Governo, collaborino con buon senso. In sé la legge è anche giusta, ma non si può pretendere che il Paese si adegui alle buone pratiche europee da un giorno all’altro”. Del resto ci sarebbe da farsi una domanda: per quale motivo si è ritenuto giusto limitare il discorso all’alimentare, come se in un supermercato non esitesse anche tutto il grocery non-food?

Vale la pena di chiudere con il monito lanciato da Gaetano Micicché, direttore generale di Intesa-San Paolo, che ha ricordato come oggi le aziende devono fare qualcosa che in apparenza sembra in contrasto con il buon senso: ricominciare a investire. In questo il sistema bancario può davvero funzionare da ago della bilancia. Sarà disposto a giocare il ruolo che tutti si aspettano?