«Rimettiamo in moto l'Italia! Illustrissimo Presidente del Consiglio senatore Monti, le porgiamo i nostri più sinceri auguri per il suo importante e delicato incarico e riponiamo in lei la nostra fiducia, certi che opererà per il bene del Paese. Siamo la maggiore organizzazione di imprenditori dettaglianti indipendenti associati in cooperative presenti in Italia, e da anni ci battiamo per aprire nuovi mercati alla concorrenza. Per rimettere in moto l'Italia molte cose sono da fare. Noi riteniamo che le liberalizzazioni siano un elemento fondamentale per la modernizzazione e lo sviluppo del nostro Paese e per contribuire alla tutela del potere di acquisto dei cittadini. I 12 distributori di carburanti Conad in attività - i soli che normative assurdamente vincolanti ci hanno permesso di aprire in sei anni - hanno fatto risparmiare ai cittadini, fino ad ottobre 2011, oltre 24 milioni di euro e le 42 parafarmacie Conad circa 6 milioni di euro»: questo uno stralcio del testo comparso a tutta pagina su alcuni quotidiani nei giorni scorsi.

Chissà se il neo Presidente del Consiglio l'avrà letto e avrà meditato sui paletti burocratici messi contro la gdo nel campo delle benzine e sui confronti che il gruppo della do ha fatto dei prezzi alla pompa praticati a livello italiano in generale e nelle realtà Conad in particolare: benzina Italia 1,59472 euro al litro versus benzina Conad 1,49448 euro litro; gasolio Italia 1,51618 euro litro, gasolio Conad 1,43664 euro litro; gpl Italia 0,72629 euro litro, gpl Conad 0,67680 euro litro. Risparmi per i cittadini rispettivamente di 10 centesimi, 8 centesimi e 5 centesimi.

Un fatto è certo: la rete distributiva dei carburanti in Italia, intorno alle 23.000 unità, lascia ben poco spazio alla gdo, nonostante la partecipazione di molte grandi insegne. Secondo Federdistribuzione gli impianti di carburante gestiti dalla grande distribuzione organizzata sono infatti al momento appena una novantina (un risicatissimo 0,4% del totale rete). Questi comprendono quelli direttamente a marchio privato (Carrefour, Auchan, ecc) e quelli gestiti in co-branding (marchio dell'insegna e marchio della compagnia petrolifera). Le principali imprese  attive sul mercato sono, appunto, Carrefour, Auchan, Conad e Finiper.

Chi ha letto con attenzione il comunicato Conad è stata, invece di Mario Monti, Assopetroli-Assoenergia, che raggruppa l'extrarete aderente a Confcommercio. In un comunicato, ripreso e diffuso dal sito www.gestoricarburanti.it, le due associazioni hanno ribadito che «oggi è difficile trovare un altro comparto economico con un grado di liberalizzazione più ampio, quantomeno dal punto di vista della normativa di settore». Secondo questa fonte a partire dalla Legge Scajola del 2008, che appunto eliminava i vincoli all'apertura degli impianti, sono state inaugurate 2.000 nuove pompe «la maggior parte delle quali a opera di soggetti prima estranei al settore. Viene spontaneo domandarsi come mai Conad non riesca a fare quello che molti altri invece realizzano».

Ma la replica si spinge ancora più a fondo, quando cita il cosiddetto fenomeno delle «pompe bianche», ossia di quei 1.500 distributori no logo (per la precisione sono 1.825 al 29 novembre, ndr.) che garantiscono anch'essi paragonabili livelli di risparmio, ma senza indurre nel consumatore altri bisogni di acquisti ritenuti collaterali, un'opportunità che permetterebbe un risparmio addirittura di 400 milioni di euro.

La querelle, secondo il sito gestoricarburanti.it, dedicato ai titolari di stazioni di servizio, sarebbe abbastanza sterile, e viene liquidata come il «classico esempio del bue che dà del cornuto all'asino».

Nel solco di un attacco  che sembra acido,  privo di serie argomentazioni, nonché pieno di sottili insinuazioni e provocazioni - attacco al quale Conad non ha reagito a quanto ci risulta -, rimane vera la domanda di fondo: per quale motivo le autorizzazioni all'apertura di pompe nella gdo sono così rare? In fondo perché le grandi insegne fanno paura e sono in grado di gestire meglio di molti altri i propri settori di business. Rappresentano certo dei formidabili category killer, ma ci troviamo o non ci troviamo in un libero mercato? Il sospetto che la risposta sia «no» e che prevalgano interessi di lobby, non è certo infondato.