Come possa un economista, accademico, ex banchiere, commissario europeo e senatore a vita, quale è Mario Monti da Varese, non riuscire a comprendere che solo rimettendo in moto i consumi è possibile rilanciare il sistema Italia, è decisamente un mistero insolubile.

Questa settimana, con il cosiddetto Decreto Sviluppo (si veda la tabella sottostante tratta da Oggi.it), che l’Esecutivo si riserva ancora di limare ma che è pressoché definitivo, l’Iva è stata alzata, a partire da luglio, di un punto percentuale, ossia dal 10 all’11% e dal 21 al 22%, due fasce che non vanno a colpire solo articoli di lusso e dunque una domanda elitaria, ma che affondano il coltello nella borsa della spesa di ogni italiano. Il tutto in nome di un abbassamento delle aliquote Irpef dal 23 al 22% per il primo scaglione (fino a 15.000 euro) e dal 27 al 26% per il secondo scaglione (da 15.001 euro a 28.000 euro).

Il problema è che nel contempo, con un abile gioco di prestigio i ministri hanno ritoccato anche gli oneri deducibili, per cui pagheremo più imposte indirette e ne detrarremo di meno. Intanto i politici ci hanno offerto lo spettacolo, altrettanto ipocrita, dei tagli alla spesa pubblica, colpendo la Sanità e gli Statali, ma guardandosi bene, Dio non voglia, dal toccare i propri lauti compensi, le proprie maxi pensioni i propri benefici feudali.

Volete un caso che sta infiammando di rabbia Internet e la stampa lombarda e che pure riguarda un personaggio tanto minore? La consigliera Nicole Minetti, coinvolta nel caso Ruby, nonostante le esplicite richieste di dimissioni persino dei suoi compagni di merende (Pdl),  che a soli 27 anni percepisce 8.700 euro al mese – praticamente quanto un direttore marketing e molto più di un capo redattore – se ne andrà in pensione con tanto di vitalizio, avendo conseguito, in soli 30 mesi, contro i 30 anni di un lavoratore vero, i requisiti necessari, garantiti dall’ennesima legge truffa varata dalla Regione Lombardia nel 1995. Ora se la Minetti se la cava in questo modo, figuriamoci personaggi più importanti.

Si dirà che queste sono polemiche da bar o da tram e si dirà, come si dice spesso di noi giornalisti, che “chi sa fa e chi non sa scrive”. Diamo la critica per buona, anche se ci sarebbe parecchio da obiettare, e lasciamo la parola a chi l’economia italiana la costruisce davvero. La rassegna di bocciature al Decreto è praticamente infinita.

Codacons: una “presa in giro dei consumatori, una beffa e un tradimento. L’aumento di un punto dell’Iva a fronte della riduzione dell’Irpef, dimostra come le risorse per non aumentare l’Iva evidentemente ci sono. L’aumento dell’Iva significa una stangata media, su base annua, considerando la famiglia media Istat da 2,4 componenti, pari a 273 euro: 176 euro per l’Iva dal 21 al 22% e 97 euro per l’Iva dal 10 all’11%. Ovviamente la stangata sarà ben maggiore per le famiglie più numerose: 324 euro per una famiglia di 3 persone, 432 per 4 componenti“.

Coldiretti: “L’aumento dell’Iva porterà un rincaro di 500 milioni di euro nella spesa delle famiglie. Un aumento che interesserà nel primo caso prodotti come carne, pesce, yogurt, uova ma anche riso, farine, miele e zucchero, mentre nel secondo ad essere colpiti saranno vino, birra e tartufo (sic). Il provvedimento rischia di provocare effetti depressivi sui consumi alimentari a danno delle imprese e dei consumatori, già provati dalla crisi e dal crollo del potere di acquisto, che hanno svuotato il carrello della spesa con un  crollo dei consumi di latte del 7% e di olio del 5%, ma anche di pesce (-4%), carne di maiale e vino (-2%), frutta, pasta e carne di manzo (-1%)”.

Federalimentare, nella persona del presidente Filippo Ferrua: “L’incremento di un punto è una mazzata da 1,5 miliardi di euro sui consumi alimentari che andrà a colpire, in un contesto già depresso, molti prodotti anche di prima necessità come per esempio carni, prodotti ittici, acque minerali, yogurt, birra, vino, caffè e peserà molto di più sulle famiglie deboli già dal prossimo luglio. Per contro gli sgravi sulle due aliquote Irpef più basse andranno a beneficio solo dei cittadini che dispongono di un reddito superiore alla no tax area, escludendo un gran numero di indigenti e pensionati. Le famiglie, strette tra la morsa di una crescente pressione fiscale e gli effetti di una crisi che non accenna a risolversi, sono sempre più in difficoltà: a fine 2012 i consumi alimentari domestici registreranno una perdita cumulata, sull’arco degli ultimi sei anni, di ben 9 punti percentuali in termini reali, mentre sono ormai 3,3 milioni le persone che accedono a una qualche forma di assistenza alimentare. Con questi presupposti, l’aumento dell’Iva allontana le deboli prospettive di ripresa di fine 2013 e aggrava le difficoltà di cittadini e imprese del settore alimentare, la cui redditività sta progressivamente scendendo da molti anni e nel solo 2011 è calata di oltre il 3% mentre la produzione ha perso nell’ultimo biennio quasi il 3,5% con possibili ripercussioni sul versante occupazionale”.

Coop Italia, nella persona del presidente Vincenzo Tassinari: “L’annunciato aumento dell’Iva, anche se di un solo punto percentuale, è una autentica calamità. Provocherà un ulteriore abbassamento dei consumi e comporterà un aggravio di circa 270 euro a famiglia che non sarà certo compensato dal mini taglio dell’Irpef . In tempi di recessione, è assolutamente controproducente e tale da generare esiti ancora più devastanti sul potere d’acquisto delle famiglie e sui consumi rispetto alla già complessa situazione attuale. Questo provvedimento, che inciderà sul 73% dell’intero paniere di spesa delle famiglie, si innesta in uno scenario negativo su cui incombe un aumento dell’inflazione che nel corso del 2013 avevamo stimato di circa il 5% e che in queste ultime settimane si è ulteriormente aggravato. Gli aumenti dei listini specie in materie prime rilevanti come i cereali, i latticini, il petrolio,  che impattano pesantemente sui costi di produzione industriali e zootecnici sono una realtà con cui ci confrontiamo tutti i giorni. Rimaniamo convinti che anziché una manovra di questo tipo sarebbe necessaria un’altra manovra, che compatibilmente con la tenuta dei costi, punti a sostenere i 20 milioni di famiglie a reddito basso, medio basso e medio, così da generare un rilancio dei consumi che sono un motore fondamentale per la ripresa della nostra economia”.

Confcommercio, ufficio studi: “La conferma, seppure dimezzata, dell’incremento delle aliquote Iva a valere dal primo luglio 2013, e del taglio Ipef, determinerebbe congiuntamente maggiori risorse per le famiglie pari a 1,5 miliardi di euro circa per l’anno 2013 e minori risorse per le famiglie pari a 2 miliardi di euro per il 2014. Questo conteggio non considera ulteriori restrizioni in termini di minori detrazioni e deduzioni nonché il blocco degli aumenti retributivi nella PA. Il provvedimento è iniquo rispetto all’attuale situazione in quanto circa 10 milioni di contribuenti incapienti – che cioè già oggi non pagano l’Irpef – non avranno alcun giovamento dalla riduzione delle aliquote e poi pagheranno prezzi più alti con riduzione del potere d’acquisto. Poiché tra questi incapienti ci sono verosimilmente le famiglie in cui vivono i 3,4 milioni di cittadini italiani poveri in senso assoluto, (che, cioè, secondo l’Istat, non sono in grado di acquistare un paniere minimo di beni e servizi di sussistenza) è certo che l’area della povertà crescerà rapidamente. Ciò è socialmente svantaggioso per l’intera collettività. Quindi, è opportuno chiarire che: il provvedimento di riduzione delle aliquote Irpef non giova ai più poveri e produce gli stessi vantaggi monetari per tutti i contribuenti che hanno un reddito superiore a 28.000 euro; anche chi guadagna 100 milioni di euro all’anno avrà minori imposte per 280 euro all’anno a partire dal 2013 (circa 23 euro al mese in più); i 5 miliardi di minori imposte dovute all’Irpef vengono largamente mangiati dall’incremento dell’Iva; su base annua questo incremento vale circa 7 miliardi e quindi per metà anno vale 3,5 miliardi di euro; tuttavia, e veniamo al difetto capitale della manovra, la modificazione di tutti i prezzi dovuta all’incremento dell’Iva, che comporterà un gradino di 8 decimi di punto nel luglio 2013, per un’inflazione che passerà nella media del 2013 dal previsto +1,8% a +2,2%, ridurrà il valore, in termini di potere d’acquisto, di tutti i risparmi attualmente detenuti dalle famiglie. Attraverso questo negativo effetto ricchezza è verosimile una riduzione dei consumi nel 2013 rispetto allo scenario di base (-0,8%) di un ulteriore decimo di punto (quindi a -0,9%). Ovviamente gli effetti sul 2014 sono ben peggiori e quantificabili complessivamente in 3-4 decimi di punto (quindi da +0,5 a +0,1-0,2%, e questa è una previsione ottimistica). L’inflazione nel 2014 passa dal 2% dello scenario di base a 2,4% dello scenario con incremento Iva; l’incremento dell’aliquota agevolata colpisce il settore del turismo e rende uno dei pochi settori che contribuiscono positivamente alla deficitaria bilancia dei pagamenti ancora meno competitivo; evidentemente il Governo non ha considerato che i turisti stranieri non godono della riduzione delle nostre aliquote Irpef mentre dovranno pagare di più per i prezzi interni che cresceranno perché l’Iva aumenta dal 10 all’11%; tenuto conto dei diversi effetti – al netto di ulteriori riduzioni di reddito disponibile derivanti da provvedimenti specifici – nel 2014 la perdita dei consumi correnti dovrebbe collocarsi tra 5 e 7 miliardi di euro rispetto al già depresso scenario di base”.

Centromarca, nella persona del presidente Luigi Bordoni: “L’aumento dell’Iva previsto dal Governo Monti penalizzerà i consumi in un momento di grave debolezza della domanda. Se il provvedimento non sarà modificato, le aziende industriali e distributive faranno presto i conti con un ulteriore fattore di riduzione dei consumi e le famiglie con la perdita del loro potere d’acquisto. Inevitabili le ripercussioni sull’occupazione. Ci chiediamo come sia possibile perseguire la ripresa varando interventi che vanno in direzione opposta”. Secondo le prime stime elaborate da Ref Ricerche per Centromarca l’incremento dell’Iva determinerà una crescita dello 0,6% dei prezzi dei prodotti alimentari e dello 0,9% del non alimentare. Effetti negativi anche sulla domanda: previste contrazioni dello 0,3% per l’alimentare e del -0,45% per il non alimentare. Ripercussioni pesanti anche sul prodotto interno lordo (-0,25%) e sull’occupazione (-0,2%). Dati allarmanti, alla luce di un primo semestre fortemente negativo per i consumi: -4,5% alimentari e bevande, -3,9% i consumi fuori casa e -7,2% i settori abbigliamento e calzature.

Altra ciliegina sulla torta: entro il 2014 l'obbligo per commercianti e professionisti di pagamento tramite carta bancomat per spese a partire da 50 euro. Il che vuol dire due cose: noi, professionisti e voi commercianti siamo/siete tutti dei potenziali evasori. Ma voi, commercianti, dovrete pagarvi un bel po’ di commissioni per il lusso di avere un terminale bancomat installato nella vostra botteguccia.

Così parlarono quelli che fanno impresa contro quelli che l’impresa la disfano e che finiranno anche per disfare la nostra bella Italia. Noi giornalisti, sempre più liberi professionisti per necessità, non ci mettiamo becco e ci prepariamo a pagare sulle nostre fatture il 22% di Iva.