Il nostro Governo non è mai sazio, per volere fare la figura del progressista, di ricoprirsi di ridicolo. La notizia sarebbe tutta da ridere se non fosse che la norma sugli shopper ha tirato in ballo un flusso produttivo di 220.000 tonellate/anno e movimentato ben 4.000 lavoratori e 800 milioni di giro d’affari per ottenere le fantomatiche biobag, oltre a tutto il disturbo arrecato alla distribuzione.

La storia è nota: la legge, che avrebbe dovuto essere procrastinata con il decreto Milleproroghe a fine anno, è passata invece per l’ostinazione del Ministero dell’Ambiente con la sola concessione, ai commercianti, di smaltire lo stock dei vecchi sacchi ancora giacenti sul punto di vendita.

Ora invece è scesa in campo Bruxelles con un’inchiesta preliminare che ha individuato due vizi gravi. Il primo è la contraddizione alla direttiva imballaggi (94/62) che impone che non si possa ostacolare il flusso sul mercato di packaging conformi alla direttiva stessa. E l’Ue non funziona certo tutta a ecosacchetti. Il secondo punto caldo è che le norme tecniche vanno sottoposte per notifica a Bruxelles, cosa che non è avvenuta. La Corte di Giustizia spiega che pertanto la legge sui bioshopper può essere disapplicata.

Si fosse almeno agito secondo la procedura adottata dai nostri cugini francesi che, prima di dare il via allo stop dei sacchetti, si sono rivolti per consiglio alle autorità dell’Ue e, dopo avere ricevuto un “no”, hanno rimandato la patata bollente al 2014!