Commercio sempre più minacciato dagli usurai: sono circa 40.000 le attività al dettaglio, che rischiano, a causa delle pessime condizioni economiche instaurate dal Covid, di cadere preda del fenomeno.

Lo afferma una ricerca dell’Ufficio Studi Confcommercio, constatando che, da aprile a oggi, le imprese dell’abbigliamento, della ristorazione e del comparto turistico hanno dovuto affrontare una riduzione del volume d’affari (37,5%), una mancanza di liquidità e varie problematiche di accesso al credito (36,9%), che si sommano alla gestione delle procedure per adeguarsi alle norme sanitarie (13,5%) e agli adempimenti burocratici sempre più intensi (12,1%).

La quota di soggetti che si sentono fortemente a rischio usura, o esposti a tentativi di acquisizione anomala dell’attività, è pari al 13-14%, percentuale maggiore di quella osservata dalla medesima rilevazione, condotta a giugno (10%). Se moltiplichiamo questa quota per il potenziale a rischio si arriva, appunto, a 30-40mila imprese in pericolo. Un fenomeno che presenta accentuazioni particolarmente significative nel Mezzogiorno e presso le strutture ricettive, dove le percentuali risultano doppie.

In questa situazione, il 30% degli imprenditori, pur riconoscendo di avere un sostegno dall’azione delle Forze dell’ordine (oltre che dalle associazioni imprenditoriali), dichiara tuttavia di sentirsi solo di fronte al pericolo di infiltrazioni della criminalità.

“Sul tema del credito – si legge nell’indagine - nonostante l’intervento del Fondo di garanzia per le Pmi abbia assicurato, dal 17 marzo al 5 ottobre (con il “Cura Italia” e poi con il decreto “Liquidità”), circa 924.000 operazioni fino a 30.000 euro per un finanziamento complessivo di oltre 18 miliardi di euro, è ancora elevata la quota di società (quasi 290.000 nel 2020) che non hanno ottenuto il credito richiesto, risultando, pertanto, una potenziale preda per gli strozzini”.