“Siamo in piena sintonia con i ministri Passera e Catania quando affermano che l’aumento Iva va scongiurato. A fine 2012 avremo i consumi in calo del 2,5%, con l’inflazione al 3,1%. In queste condizioni l’innalzamento dell’imposta indebolirebbe ulteriormente la domanda, con effetti negativi anche sul gettito fiscale”: parola di Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, che ha aperto ieri la consueta assemblea annuale dell’associazione.

Bordoni tocca un argomento di forte interesse per l’intera filiera dei beni di consumo. Secondo le stime elaborate da Ref, il passaggio dal 10% al 12% e dal 21% al 23% delle aliquote Iva, previsto nel decreto “Salva Italia”, determinerebbe un aumento medio dell’1,2% dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’1,8% del non alimentare, accompagnato da una flessione dei consumi rispettivamente dello 0,6% e dello 0,9%. Effetti sensibili sono previsti anche sul Pil (-0,5%) e sull’occupazione (-0,4%).

Symphony-Iri stima in 900 milioni di euro il gettito fiscale potenziale su base annua derivante dall’aumento Iva nel solo settore del largo consumo confezionato. Secondo i ricercatori, però, la riduzione degli acquisti derivante dall’aumento del costo dei prodotti porterebbe lo Stato a incassare il 60% dell’importo; il restante 40%, pari a circa 360 milioni di euro, non si concretizzerebbe per effetto della contrazione delle vendite. “L’azione sull’Iva infliggerebbe un colpo pesantissimo ai consumi, considerando anche il potere d’acquisto in calo a causa della crisi economica, dell’aumento della pressione fiscale e della crescita dei prezzi dei settori protetti non esposti alla concorrenza”, sottolinea Bordoni, auspicando interventi più decisi ed efficaci sul fronte delle liberalizzazioni e ribadendo un no deciso a nuove forme di tassazione dei consumi come la ventilata food-tax.

Le riflessioni di Centromarca sono strettamente legate all’andamento stagnante del settore dei beni di consumo. Tra gennaio e maggio 2012, a parità di rete, le vendite complessive grocery della moderna distribuzione sono calate dello 0,8% (dato Nielsen). In una situazione che è molto articolata per settore, comparto merceologico, area geografica, gruppo distributivo il complesso delle marche industriali si attesta comunque su una quota di mercato complessiva prossima al 70%.