Bordoni tocca un argomento di forte interesse per l’intera filiera dei beni di consumo. Secondo le stime elaborate da Ref, il passaggio dal 10% al 12% e dal 21% al 23% delle aliquote Iva, previsto nel decreto “Salva Italia”, determinerebbe un aumento medio dell’1,2% dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’1,8% del non alimentare, accompagnato da una flessione dei consumi rispettivamente dello 0,6% e dello 0,9%. Effetti sensibili sono previsti anche sul Pil (-0,5%) e sull’occupazione (-0,4%).
Symphony-Iri stima in 900 milioni di euro il gettito fiscale potenziale su base annua derivante dall’aumento Iva nel solo settore del largo consumo confezionato. Secondo i ricercatori, però, la riduzione degli acquisti derivante dall’aumento del costo dei prodotti porterebbe lo Stato a incassare il 60% dell’importo; il restante 40%, pari a circa 360 milioni di euro, non si concretizzerebbe per effetto della contrazione delle vendite. “L’azione sull’Iva infliggerebbe un colpo pesantissimo ai consumi, considerando anche il potere d’acquisto in calo a causa della crisi economica, dell’aumento della pressione fiscale e della crescita dei prezzi dei settori protetti non esposti alla concorrenza”, sottolinea Bordoni, auspicando interventi più decisi ed efficaci sul fronte delle liberalizzazioni e ribadendo un no deciso a nuove forme di tassazione dei consumi come la ventilata food-tax.
Le riflessioni di Centromarca sono strettamente legate all’andamento stagnante del settore dei beni di consumo. Tra gennaio e maggio 2012, a parità di rete, le vendite complessive grocery della moderna distribuzione sono calate dello 0,8% (dato Nielsen). In una situazione che è molto articolata per settore, comparto merceologico, area geografica, gruppo distributivo il complesso delle marche industriali si attesta comunque su una quota di mercato complessiva prossima al 70%.