Le autorità nazionali non possono bloccare una vendita di liquidazione per il solo fatto che il commerciante non ha richiesto l'autorizzazione all'autorità nazionale competente. Lo ha detto la Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza depositata il 17 gennaio (causa C-206/11) che segna un punto a favore della libertà nella scelta delle modalità di vendita e un ridimensionamento del potere d'intervento e dei lacci burocratici imposti sul piano nazionale.

Con un unico limite: che non si tratti di pratiche commerciali sleali. Come riportato dal Sole 24ore di lunedì scorso la vicenda approdata a Lussemburgo ha preso il via da una controversia tra un commerciante austriaco, che aveva pubblicizzato l'avvio di una svendita totale di merce nel proprio negozio, e l'autorità amministrativa che contestava all'imprenditore il mancato rispetto delle regole perché non aveva chiesto, in via preventiva, l'autorizzazione necessaria per le svendite.

Le autorità nazionali si erano rivolte ai giudici interni chiedendo un provvedimento inibitorio nei confronti dell'imprenditore. La Corte d'appello aveva dato ragione agli organi amministrativi, mentre la Cassazione, prima di risolvere la questione, ha sospeso il procedimento e ha chiamato in aiuto la Corte Ue che ha delimitato il perimetro di applicazione della direttiva 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno, recepita in Italia con il decreto legislativo 146/2007. La diffusione di un annuncio di una vendita di liquidazione senza la preventiva autorizzazione imposta dal diritto interno non è una pratica commerciale sleale.