di Maria Teresa Giannini

Fondata nel 1978 a Jesi, Fileni è stata pioniera nell’introduzione delle pratiche di allevamento biologiche, che hanno reso possibile nel 2014 l’ingresso nel mercato con il marchio “Fileni Bio”. L’azienda, che dà lavoro a più di 2.100 dipendenti, vanta diversi stabilimenti nelle Marche e in Emilia-Romagna con l’acquisizione dell’azienda Tedaldi (uova), oltre a uno a Oppeano nel veronese, quest’ultimo entrato nella proprietà di Fileni dopo aver acquistato nel 2021 il 100% di BioAlleva (carni rosse biologiche). Nel 2022 il brand marchigiano ha chiuso con un fatturato di filiera di 635 milioni di euro (+18% sul 2021) e un primo semestre 2023 positivo, anche se non con la stessa intensità degli ultimi anni. Il biologico, dunque, è messo alla prova dall’inflazione? Quali sono gli obiettivi del futuro prossimo e più a largo spettro dell’azienda? Come evolve Fileni? Ne abbiamo parlato con Barbara Saba, da luglio 2022, direttrice marketing e innovazione dell’azienda.



Quella che in origine era un’impresa familiare vede oggi alla vicepresidenza Roberta e Massimo Fileni, esponenti della seconda generazione, e alla direzione generale Simone Santini, già chief commercial officer dell’azienda: cos’è Fileni oggi?
È una grande realtà, impegnata in un processo di transizione su più livelli poiché passando da realtà locale è diventata una grande azienda nazionale, con numeri importanti a partire dal 2000 e in particolare dal 2014, evidenziando sempre di più la necessità di dotarsi di una struttura manageriale. La transizione è avvenuta, e sta ancora avvenendo, per gradi, ma con tempistiche abbastanza rapide e a ritmo continuo: registriamo una crescita, anche a doppia cifra negli ultimi anni, supportata anche da un investimento pubblicitario diretto per il 45-50% verso la televisione e il 25% su tutti i canali digital.



A marzo 2023 avete annunciato l’inizio di un sodalizio commerciale con la Figc per tutte le Nazionali di calcio…
Per essere precisi, si tratta in primis di un rapporto di fornitura quadriennale di carni e uova. L’approccio è stato “nutrizionale” molto più che commerciale, intendo dire che l’accordo è nato non solo per i rapporti con il Team Figc, ma anche grazie all’interlocuzione e la collaborazione con il nutrizionista della Nazionale, il quale, per rispondere alle esigenze nutrizionali della squadra - che delle proteine della carne bianca ha molto bisogno - ha scelto i nostri prodotti dopo vari test e assaggi. A proposito di rapporti con il mondo dello sport, stiamo entrando in contatto con svariati club calcistici e con le squadre di altre discipline.



Quale prodotto o linea sta evidenziando la miglior performance?
La crescita maggiore è quella dei piatti pronti, come per esempio le linee Fileni Buoni e Bilanciati e Fileni Sempre Domenica, prodotti su cui spingeremo molto nel prossimo futuro, nonostante il nostro core business rimanga sempre la confezione di classiche fette di petto di pollo in termini di prodotto trasversale alto vendente. Altre categorie con trend positivo sono gli hamburger e le cotolette panate: cibi che non sono totalmente cotti, ai quali manca solo “l’ultimo miglio” prima di arrivare in tavola. Il concetto di “servizio” acquisisce sempre più valore anche in questo settore.



Al di là del mercato italiano, dove siete presenti nel mondo?
Se consideriamo la totalità dei canali, l’estero pesa per il 10%, il primo paese, dopo il mercato interno, è la Germania, che a Colonia ospiterà la fiera di Anuga (dove saremo presenti fra il 7 e l’11 ottobre). A seguire Grecia, Portogallo e Arabia Saudita, visto che abbiamo la certificazione per la lavorazione “halal”.



Quali canali presidiate?
Il normal trade resta il nostro principale canale di vendita: dalle pollerie e dalle macellerie arriva il 30% del fatturato. Un altro 10% è rappresentato dal Foodservice mentre, per quanto riguarda la fornitura alla Gdo, abbiamo due distinte divisioni, una Gd e l’altra Do (con due responsabili differenti), che rispettivamente valgono il 25% e il 20%.



E in merito al discount, come fa l’azienda, con il suo marchio bio e i suoi prezzi, a essere presente laddove la competizione è soprattutto sul prezzo?
Facciamo fatica a chiamare i discount con il loro nome, visto che ormai somigliano in tutto e per tutto ai supermercati (pensiamo, per esempio, al numero di referenze, al tipo di offerte, alla rotazione a scaffale e all’ubicazione). Del resto, la penetrazione del discount non si è mai fermata negli ultimi 15 anni e il consumatore è sempre più infedele ai formati classici. Basti pensare che il consumatore è passato dal vistare mediamente 1,2 - 1,3 canali, agli attuali 2,7 - 2,8. Essere presenti nei discount non è facile, nemmeno con i prodotti Fileni convenzionali che sono al 98% antibiotic free. Produciamo per queste insegne principalmente come private label. L’elemento diversificazione è assicurato: abbiamo oltre 1.300 referenze e nei contratti stipulati con i discount cerchiamo di proporre assortimenti diversi dai supermercati.



Quanto conta la private label a livello di produzione?
La private label rappresenta il 30% del nostro fatturato totale e costituisce un fondamento, anche dal punto di vista storico, dell’azienda. Quando nel ‘65 Giovanni Fileni, ultimo figlio di una famiglia di mezzadri, cominciò a vendere porta-a-porta la carne che proveniva dai suoi allevamenti, produceva in conto terzi, e solo fra gli anni ‘70 e ‘80 entrò su mercato con il proprio nome.



Del resto, oggi come allora, l’inflazione è tornata d’attualità, poiché, nonostante il leggero calo, a luglio si è mantenuta oltre l’11% e per tutto il 2022 non è mai scesa sotto l’8%: quali sono gli effetti visibili di ciò?
La spinta dell’inflazione, soprattutto nel primo semestre del 2023, ha provocato innegabilmente una sofferenza del mercato. Per fortuna, sul totale carni, le carni bianche crescono ancora, anche considerando il rapporto €/Kg vantaggioso rispetto alle carni rosse. Anche il biologico è un mercato in attivo, ma inizia a dare dei segnali calanti a causa dell’aumento, a monte, delle materie prime per l’allevamento: sulle fette petto di pollo bio si possono superare anche i 30 €/Kg, basti pensare che il 60% del costo finale del pollo è rappresentato dal costo dell’alimentazione. Sono costi un po’ alti ed è un peccato che una fetta di consumatori ne sia tagliata fuori: la sfida sarà rendere più democratico l’accesso al biologico, non solo sulla carne, ma anche sulle uova, per il benessere delle persone e per continuare ad assicurare una vita dignitosa ai polli. Non a caso, abbiamo sottoscritto l’European Chicken Commitment secondo il quale entro il 2023 il 100% delle filiere biologiche e all’aperto rispetteranno i parametri dell’Ecc sul benessere animale.



Eppure il servizio del programma giornalistico “Report” andato in onda a inizio 2023 ha creato notevole clamore, dibattito e voglia di approfondire nella generalità dei consumatori: al vostro interno invece quali conseguenze ha prodotto, anche alla luce del fatto che da inizio 2022 siete una B-corp?

Chiaramente ha avuto un impatto forte: abbiamo ricevuto molte “lettere” dei consumatori, con i quali abbiamo sempre lasciato aperto il dialogo, spalancando loro i cancelli dei nostri allevamenti. Quanto accaduto la sera del 9 gennaio, però, non va inteso in modo del tutto negativo, e ritengo che sia utile per andare avanti nel percorso che abbiamo tracciato: ci ha messi davanti alla necessità di rivedere i controlli sul benessere degli animali, sul mindset, la formazione e l’educazione dei dipendenti. Abbiamo aumentato le procedure di controllo sui punti di criticità emersi grazie alla creazione di una task force interna, ma non abbiamo avuto un impatto dal punto di vista di danni reputazionali e/o di business: abbiamo mantenuto solide le relazioni con i nostri clienti. Siamo impegnati ancor più strenuamente a garantire quanto promettiamo al consumatore, cosa che non è cambiata e non cambierà.