Da marzo, Belén Frau, spagnola, 40 anni, sposata con tre figli, ha assunto la carica di amministratore delegato di Ikea Italia, subentrando a Lars Petersson.

Questo lo spunto di cronaca, che, nel giorno della festa della donna, pone un interrogativo: oggi, in Italia, è più facile essere donna e lavoratrice? La risposta potrebbe essere: dipende dal ruolo.

Infatti, a livello generale, secondo i dati resi noti il 7 marzo da Eurispes, e raccolti attraverso l’ascolto di un campione composto da 521 donne su tutto il territorio nazionale, ben poco è cambiato per le signore negli ultimi decenni: permane uno scenario immobile, soprattutto per quanto riguarda i problemi di fondo del sistema occupazionale a livello di inclusione e retribuzione.

Se le donne lavoratrici hanno un’istruzione superiore a quella raggiunta dagli uomini (sono 3,5 milioni le laureate contro 2,9 milioni), la dinamica salariale resta più favorevole per i maschi.

Il gap retributivo di genere è in Europa al 16,4% e in Italia arriva al 7,3%, un dato positivo, ma solo in parte: all’interno del trend 2008-2013 emerge un aumento limitato al 2,4 per cento.

Per giunta il nostro Paese è penultimo nella classifica a 28 per la differenza di genere tra occupati (19,9%) con un tasso di impiego del 69,8% per gli uomini contro il 49,9% delle donne (dati Eurostat).

E per il segmento manager e quadri? Qui la situazione è un po’ migliore, come rileva il “Rapporto Donne 2015”, sviluppato da Manageritalia (Federazione nazionale dirigenti, quadri e professional, con 35.000 associati), in collaborazione con AstraRicerche e JobPricing.

Intanto, a dispetto della crisi, le donne occupate aumentano (+6,2% negli ultimi 10 anni, -3,9% per gli uomini), così come crescono nelle posizioni di vertice.

Nel privato il 15,1% dei dirigenti e il 28,4% dei quadri è donna. Siamo ancora lontani, come già detto, dall’Europa (25% le dirigenti nel privato), ma sicuramente in recupero. Curioso poi che le donne siano negli ultimi anni il 44% dei cervelli in fuga.

A livello regionale - a parte alcune realtà, soprattutto del Sud, non significative per il limitatissimo numero di dirigenti - le top manager sono percentualmente più presenti in Lazio (19,7%) e Lombardia (17,1%). Idem per i quadri, dove spiccano il 32,3%, del Lazio, seguito da Sardegna (31,6%), Valle d’Aosta (30,7%) e Lombardia (30%).

Su scala provinciale le dirigenti sono più diffuse a Pavia (250, 28,6%), Roma (3.368, 20,1%) e Milano (6.439, 17,9%). Nel caso dei quadri spicca al primo posto Asti (369 donne quadro, 37,7% del totale), seguita da Roma (18.666, 32,8%) e Milano (33.788, 31,6%).

In termini assoluti, le donne dirigenti sono di più a livello regionale in Lombardia (8.060, 47% del totale nazionale) e provinciale a Milano (6.439, 37,6%). Idem per i quadri, dove svettano di nuovo la Lombardia (42.606, 35,2%) e Milano (33.788, 27,9%).

Il settore economico più “al femminile” è la sanità e assistenza sociale privata (42,2% donne dirigenti e 50,8% quadri); ultimo invece il comparto delle costruzioni (7,8% donne dirigenti e 14,9% donne quadro).

Sotto il profilo del ruolo sono in aumento le donne che operano nel general management (25,9% dirigenti e 13,7% quadri).

Anche il divario retributivo si va assottigliando. In generale il salario annuo lordo medio delle donne (27.890 euro) è inferiore del 6,7% a quella degli uomini (29.891 euro). Mentre sul piano dell’inquadramento lo stacco, sempre comunque sfavorevole per le signore, è minore tra i quadri (¬4,9%). Più accentuato per operai (-6,6%), dirigenti (-7,8%) e impiegati (-9,6%).

Commenta Marisa Montegiove, coordinatrice del gruppo donne manager di Manageritalia: “La parità, ai vertici delle aziende e organizzazioni in generale, nel mondo del lavoro e nella società, non è più una necessità delle donne, ma lo è anche degli uomini e di tutta la società. Lo è per la competitività del sistema”.

“Certo, una parità – prosegue Montegiove - che deve fare rima con il merito, non con quote o altro. Solo se vinceremo tutti questa lotta per cambiare il mondo del lavoro, perché vada verso maggiore produttività e benessere di aziende e persone e di tutto il sistema, raggiungeremo la vera parità, non tra uomo e donna, ma nei confronti delle economie più competitive.

Il lavoro che serve oggi per stare ai vertici dell’economia mondiale – conclude - è profondamente cambiato, e va verso alcuni capisaldi che prima sembravano un’esigenza solo femminile. Non è quindi un caso, né una regalia, che le donne ai vertici aumentino, ma questo spazio alla possibilità di esprimersi al meglio deve diventare prassi e toccare tutti per sesso, anagrafe, nazionalità e cultura. Serve, quindi, fare molto di più per competere e crescere davvero in tutti i sensi”.