La questione dazi continua a tenere banco. Mentre l’Europa cerca l’accordo, le aziende alimentari italiane manifestano la loro preoccupazione per la proposta di Trump di dazi al 30%.
La posizione di Federalimentare
Il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha dichiarato: «Ogni dazio fa male al commercio e avremmo preferito un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero: l’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese, aumentando il rischio di un calo significativo delle esportazioni, anche alla luce dell’attuale svalutazione del dollaro».
Il combinato disposto dell’impatto dei dazi Usa e della svalutazione del dollaro non sarà sostenibile per diversi settori. Per questo Federalimentare, e a tutela delle imprese «chiede alla Ue un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi lo chiediamo. Non pensiamo però a sussidi, ma ad urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla Ue: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica».
Mascarino ha invitato a una risposta prudente e aperta al negoziato da parte dell’Ue, per evitare ritorsioni, considerando anche l’importanza dell’export per l’industria alimentare italiana: «gli Usa sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono, nel 2024, 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque, gli Usa restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività».
Il punto di vista del Consorzio Italia del Gusto
Non si sono fatte attendere anche le posizioni di altre associazioni del comparto alimentare italiano. Nei giorni scorsi anche il Consorzio Italia del Gusto ha diffuso una nota, sottolineando che «non è in discussione solo l’export italiano ma un equilibrio economico che ha prodotto valore concreto su entrambe le sponde dell’Atlantico. I nostri prodotti sono parte integrante di una filiera americana che va dalla logistica alla distribuzione, dalla ristorazione alla cultura alimentare. Rompere questa catena significa danneggiare anche l’economia statunitense».
Secondo il Consorzio, gli effetti rischiano di essere amplificati dal contesto macroeconomico: ai dazi si aggiungono i riflessi negativi del cambio e le tensioni sui costi. Per alcuni segmenti chiave, i rincari al consumo potrebbero superare il 40%, con un rallentamento della domanda e una corsa al ribasso nei canali distributivi: margini ridotti, sostituzione del prodotto originale, diffusione di imitazioni di bassa qualità. A pagarne il prezzo sarebbe l’intero sistema, non solo l’Italia.
La preoccupazione di Italmopa
Anche Italmopa ha ribadito la sua preoccupazione, in caso di mancato negoziato. «L’industria molitoria sarebbe pesantemente colpita sia direttamente, con l’applicazione di dazi sulle nostre farine e semole esportate verso gli Stati Uniti, sia indirettamente in quanto tali dazi saranno comminati anche ad altri prodotti del made in Italy alimentare, a mero titolo esemplificativo, la pasta alimentare o i prodotti della biscotteria e i lievitati - per i quali le farine e le semole risultano essere l’ingrediente principale», ha evidenziato Vincenzo Martinelli, presidente di Italmopa.
Nel 2024, le sole esportazioni italiane di farine e semole di frumento tenero e di frumento duro verso gli Stati Uniti hanno raggiunto complessivamente 46.500 tonnellate, con una crescita del 24% rispetto al 2023 e del 135% nell’arco dell’ultimo decennio, ponendo gli stessi Stati Uniti ai vertici dei Paesi extra UE destinatari dei nostri sfarinati.
Le considerazioni del Consorzio Gorgonzola Dop
«La scelta di imporre dazi al 30%, addirittura contro il 20% ufficialmente annunciato lo scorso aprile, desta grande preoccupazione per le aziende italiane – ha affermato Antonio Auricchio, presidente del Consorzio Gorgonzola Dop –. Per il settore lattiero-caseario la situazione è ancora peggiore perché questa percentuale rischia di aggiungersi al 15% già in vigore. Per il Gorgonzola Dop gli Usa sono un mercato che vale oltre 3 milioni di euro con 387 tonnellate di prodotto esportate ogni anno. Considerando un prezzo medio al chilo di 10,00 euro, il Gorgonzola arriverà a costare ai consumatori americani circa il doppio del prezzo odierno».