Nonostante l’approssimarsi dell’inverno nelle splendide giornate alpine il blu del cielo, oltre la splendida cornice con qualche vetta già innevata, continua a far da contrasto con il verde intenso dei meleti stesi a perdita d’occhio lungo la Val Venosta. Qui, fino a qualche settimana fa, tra i filari puntinati di giallo o rosso a seconda della varietà scelta dai coltivatori, era tutto un pullulare di uomini e donne al lavoro in guanti bianchi. Precauzione eccessiva? Assolutamente no, perché la presa della mano, non protetta dal soffice tessuto, potrebbe lasciare traccia sulla superficie della mela, come talvolta dimostrano le piccole depressioni circolari, scure, impresse sulla buccia proprio dalla punta delle dita di una mano nuda chiusa con troppa energia.
E di questi difetti, i 1.780 coltivatori raccolti nelle sette cooperative, a loro volta riunite nel Consorzio VI.P. che cura promozione e commercializzazione delle mele della Val Venosta, non ne vogliono sapere. Meglio non mettere a repentaglio la qualità ottenuta grazie non solo all’impegno delle tante famiglie che lavorano nella valle, che va da Merano (Bz) alle vette estreme del gruppo Ortles, ma anche grazie alla generosità di una natura con la quale bisogna saper convivere. Sì, convivere, perché per quanto nella valle il sole splenda mediamente per 300 giorni all’anno, il freddo pungente limita il periodo vegetativo complicando il lavoro e rendendo tuttavia più “croccante” il frutto tipico della Val Venosta, “la mela sopra le altre”, come dice l’indovinato slogan coniato dal Consorzio.
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