La Corte di Giustizia pensa alla purezza...del cioccolato

La Corte di Giustizia pensa alla purezza...del cioccolato
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La Corte di Giustizia pensa alla purezza...del cioccolato

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Fabio Massi
A seguito di una normativa Ue del 2000 - approvata anche dal governo italiano - il cioccolato “puro” (quello classico, con solo burro di cacao) è stato equiparato a quello “impuro” (che può contenere anche fino a un massimo del 15% di grassi vegetali alternativi), considerato a lungo di serie B e di cui nel Belpaese era vietata la distribuzione.

A dispetto di quanto prescritto dalla nuova direttiva comunitaria, l'Italia ha deciso di autorizzare comunque, a livello nazionale, la denominazione “cioccolato puro” da apporre sull’etichetta del prodotto di serie A, per distinguerlo dall’altro.

Nonostante le proteste degli Stati membri in merito all'iniziativa italiana, il nostro Paese, sulla questione, ha preferito fare orecchie da mercante. Il risultato? La Commissione europea nel 2009 ha deciso di deferire il problema davanti alla Corte di giustizia europea. La quale ha condannando lo scorso giovedì l’Italia per violazione del diritto comunitario.

Secondo i giudici di Lussemburgo, infatti, per garantire ai consumatori una corretta informazione è sufficiente indicare nell’etichetta l’assenza di grassi sostitutivi, senza ricorrere all'aggiunta della dicitura “cioccolato puro”. Anzi, tra le denominazioni non è prevista quella di “cioccolato puro” e nemmeno la possibilità per il legislatore nazionale di introdurla.

E non solo: la doppia denominazione “all’italiana”, secondo il tribunale lussemburghese, può indurre il consumatore in confusione in assenza di un’informazione corretta, imparziale e obiettiva. A questo punto il governo italiano non potrà far altro che modificare la propria legislazione, per allinearla a quella comunitaria.
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