I capi di Stato se ne sono andati, i problemi restano. Ma il feeling che si registra al vertice sul clima non è negativo. Ci sono frizioni, posizioni apparentemente inconciliabili, raggruppamenti che sostengono interessi divergenti. Nulla però rispetto alla forza delle contrapposizioni che hanno caratterizzato le precedenti Cop.

In sostanza non sembra che l'accordo venga messo in discussione: ognuno cerca di tirarlo dalla sua parte. La posizione più ambigua è quella dell'India. Del resto – e questo vale anche per l'Italia – ogni premier gioca la sua presenza a Parigi anche in funzione di politica interna. E Modi è un nazionalista estremo, con posizioni che creano non pochi problemi di democrazia sostanziale all'interno del paese.

Al vertice sul clima è venuto a mostrare i muscoli dell'induismo. Fa la voce grossa per dire che l'India non accetterà imposizioni dai paesi che sono cresciuti usando i combustibili fossili e che quindi continuerà ad usare carbone. Ma nel frattempo, assieme a Hollande, lancia un'alleanza per il solare che si propone di rastrellare mille miliardi di dollari di investimenti entro il 2030 e in questo piatto è disposta a mettere solo 62 milioni di dollari.

In realtà il percorso dell'India somiglia a quello della Cina, con un ritardo di qualche anno: si prepara a entrare da leader nel mercato delle rinnovabili ma accumula la forza necessaria al balzo usando il carbone. Dunque il più inquinante dei combustibili fossili resta ancora largamente maggioritario nei due più popolosi paesi del mondo. Ma è un primato che ha gli anni contati.




Antonio Cianciullo